Esercizio del potere disciplinare: definizione
Il potere disciplinare, originariamente previsto dall’articolo 2106 del codice civile, costituisce lo strumento di reazione all’inosservanza degli obblighi contrattuali di fedeltà, obbedienza e diligenza incombenti sul lavoratore e si concretizza nella facoltà per il datore di lavoro di adottare / irrogare specifiche sanzioni disciplinari, il cui culmine è rappresentato dal licenziamento.
L’esercizio del suddetto potere è stato opportunamente proceduralizzato con l’entrata in vigore della legge 20-05-1970, n. 300, meglio nota come Statuto dei Lavoratori, il cui articolo 7, recante disposizioni, appunto, in materia di sanzioni disciplinari, statuisce, anzitutto, l’obbligo del datore di lavoro di predisporre, portare a conoscenza ed affiggere in luogo accessibile a tutti (ambiente nel quale i lavoratori abitualmente svolgono la prestazione) il codice disciplinare contenente ed esplicante le procedure di contestazione, l’individuazione delle infrazioni (comportamenti vietati) e l’indicazione delle relative sanzioni comminabili (in applicazione di quanto stabilito dai CCNL di settore).
Salvo analoghe procedure previste dai CCNL applicabili e ferma restando la facoltà di adire l'Autorità Giudiziaria (se ritenuto, previo esperimento del tentativo di conciliazione ex articolo 410 codice di procedura civile, divenuto / tornato ad essere facoltativo a seguito dell'entrata in vigore della legge 4 novembre 2010, n. 183, meglio nota come "Collegato Lavoro"), le sanzioni disciplinari conservative irrogate dal datore di lavoro potranno essere impugnate dal lavoratore, nei venti giorni successivi, anche mediante l'Associazione Sindacale cui sia iscritto o conferisca mandato, promuovendo la costituzione di un Collegio di Conciliazione ed Arbitrato presso le Direzioni Provinciali del Lavoro (con sospensione della sanzione sino alla pronuncia del Collegio).
Il licenziamento (provvedimento espulsivo) dovrà, invece, essere impugnato nel rispetto delle modalità e termini dettati dalla già citata legge 4 novembre 2010, n. 183, meglio nota come "Collegato Lavoro".
Il controllo ultimo sul rapporto di adeguatezza / proporzionalità tra infrazione e sanzione sarà, in ogni caso, demandato al Giudice di merito investito dell'eventuale giudizio di impugnazione - per il quale i ragguagli forniti dal CCNL di settore saranno indici orientativi, ma non obbligatori - ricordando soprattutto che il provvedimento espulsivo (licenziamento) sarà da considerarsi, in via definitiva, quale extrema ratio destinata alle sole infrazioni più gravi ed inoppugnabili (per maggior approfondimento sul punto, si vedano le voci relative alla Cessazione del rapporto di lavoro).
Dalla prospettiva datoriale, ferme restando le prerogative di cui sopra, soprattutto alla luce del principio dell’immutabilità dei fatti fondanti l’addebito, sarà opportuno e di maggior cautela avvalersi di un professionista, esperto di diritto del lavoro, per la redazione della lettera di contestazione dell’addebito al prestatore, onde agire nel rispetto dei requisiti imprescindibilmente richiesti dall'articolo 7, legge 20-05-1970, n. 300, e garantirsi una più salda “tenuta” giudiziale dinanzi all’eventuale impugnazione del provvedimento.
Il lavoratore, da parte sua, secondo il disposto dell’articolo 7, legge 20-05-1970, n. 300, comma 2, ha diritto ad un termine a difesa (che non può mai essere inferiore a cinque giorni dal ricevimento della contestazione stesa dal datore di lavoro) nel corso del quale potrà presentare le proprie giustificazioni per iscritto o richiedere di essere sentito oralmente, tramite audizione e verbalizzazione. Anche il prestatore potrà farsi assistere, in questa fase, da un professionista, esperto di diritto del lavoro, per una semplice consulenza o per l’assistenza alla redazione della lettera di giustificazioni.