Svolgimento attività mediche pericolose: definizione
La norma appena citata è una delle ipotesi tipizzate di responsabilità oggettiva che prevede una presunzione di colpa in capo al soggetto che svolge un’attività considerata pericolosa.
Ai fini dell’individuazione dell’ambito di applicazione dell’articolo 2050 codice civile, la giurisprudenza ha ritenuto di fare riferimento ad un concetto piuttosto elastico di "attività pericolose", individuando le stesse, non solo in quelle attività di prevenzione infortuni o di tutela dell’incolumità pubblica, ma anche in tutte quelle altre che, pur non essendo specificate o disciplinate, abbiano tuttavia una pericolosità intrinseca o comunque dipendente dalle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro impiegati.
In concreto, la responsabilità per attività pericolosa è stata ritenuta applicabile dalla giurisprudenza di legittimità e di merito nei confronti delle case farmaceutiche e delle strutture sanitarie che esercitano attività trasfusionale.
Le più frequenti fattispecie esaminate dalla giurisprudenza riguardano infatti i danni da contagio prodotti dalla distribuzione di farmaci emoderivati infetti e quelle inerenti le pratiche di trasfusione del sangue.
La produzione e l’immissione in commercio di farmaci, contenenti gammaglobuline umane e destinati all’inoculazione nell’organismo umano, costituisce una attività dotata di potenziale nocività intrinseca, stante il rischio di contagio del virus della epatite di tipo B, e pertanto di per sé pericolosa.
L’attività di preparazione del sangue umano all’impiego trasfusionale, invece, viene ritenuta pericolosa per la naturale idoneità del sangue a veicolare agenti patogeni e per l’elevata possibilità di contagio post-trasfusionale.
Egli dovrà poi provare il nesso causale tra l’attività medica ricevuta e il danno subito, mentre il presunto responsabile potrà superare l’imputazione a suo carico solo fornendo la prova di “aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”.
Nel caso di esercizio di attività medica rientrante nel novero delle attività pericolose, infatti, non sarà ritenuta sufficiente la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorrerà che l’agente provi empiricamente e con un certo livello di certezza di avere impiegato ogni cura e misura atta ad impedire l’evento dannoso.