Ricorso al prefetto: definizione
In materia di codice della strada, il ricorso al prefetto è uno dei mezzi di impugnazione dei verbali di accertamento d’infrazione o di alcuni tipi di provvedimenti concernenti el sanzioni amministrative accessorie ad illecito amministrativo; è alternativo al ricorso diretto al giudice di pace, nel senso che, se si propone, è precluso poi impugnare lo stesso provvedimento anche davanti all’autorità giudiziaria: bisogna attendere l’eventuale ordinanza-ingiunzione e poi impugnare quest’ultimo provvedimento. Può essere presentato sia dal trasgressore, sia dal coobbligato solidale sia da tutti e due, tanto con un unico atto quanto con due atti distinti.
Quali sono gli elementi minimi del ricorso?
Il ricorso può essere – anzi, di regola è – sottoscritto direttamente dall’interessato, trasgressore e/o coobbligato solidale; deve consistere in un vero e proprio atto di impugnazione e non soltanto in una generica doglianza: cioè deve indicare per quali motivi si ritiene che il provvedimento impugnato (del quale si devono perlomeno riportare gli estremi principali: data, numero e organo che l’ha emesso; è buona regola allegare almeno una fotocopia) sia ingiusto o illegittimo. E’ esente da bollo o altre imposte. Non può essere presentato (è inammissibile, cioè) se si è già provveduto al pagamento in misura ridotta della sanzione ed ha effetto sospensivo del provvedimento opposto, perlomeno per quanto riguarda la sanzione pecuniaria (articolo 203 comma 3 codice della strada). Possono essere allegati documenti e si può chiedere di essere sentiti personalmente (la cosiddetta “audizione personale”).
Avvocato Nicola Fabio de Feo
Ordine degli Avvocati di Bari
Studio legale avv. Nicola Fabio de Feo
Come si presenta?
Il ricorso va – entro sessanta giorni dalla contestazione immediata o dalla notificazione del verbale (o dell’altro provvedimento), termine a pena di decadenza e quindi di inammissibilità – presentato al prefetto del luogo in cui è stata commessa la violazione per il tramite del comando che ha emesso l’atto: la presentazione può avvenire direttamente da parte dell’interessato o di uno suo delegato, nel qual caso il comando emette ricevuta; oppure può essere spedito con raccomandata AR, nel qual caso fa fede la data di spedizione. Può essere inviato anche direttamente alla prefettura, ma resta preferibile la prima strada per quanto si dirà subito.
Quale è la procedura?
Se si presenta il ricorso secondo la procedura-tipo (cioè al comando da cui dipende l’agente che ha accertato la violazione), tale organo deve inviare al prefetto la “pratica” - composta da ricorso, copia del verbale con le prove delle notificazioni e proprie “controdeduzioni”, obbligatorie ma non vincolanti – entro 60 giorni; mentre, se il ricorso viene presentato direttamente in prefettura, da qui viene inviato entro 30 giorni al comando accertatore per la formazione della pratica e ricomincia l’iter suddescritto. Dal momento della ricezione della “pratica”, il prefetto dispone di 120 giorni per esaminare il ricorso: se non provvede entro il termine complessivo derivante dalla soma dei due termini di fase (quello per l’organo istruttore e quello per il prefetto), il ricorso si intende accolto: si forma, cioè, il cosiddetto “silenzio-accoglimento”. A prescindere da quest’ipotesi (cioè dal superamento del termine massimo) il prefetto, se accoglie il ricorso emette ordinanza di archiviazione che viene comunicata al comando ed al ricorrente; ove invece rigetti il ricorso, emette un’”ordinanza-ingiunzione” motivata, con cui ordina al ricorrente il pagamento di una somma non inferiore al doppio del mimino edittale oltre le spese di procedimento e notifica. L’ordinanza-ingiunzione è notificata entro centocinquanta giorni dalla data della sua emissione, e può essere opposta davanti al giudice di pace entro trenta giorni: nel caso di mancata impugnazione e mancato pagamento della sanzione comminata, l’ordinanza diviene titolo esecutivo e viene iscritta a ruolo.