Schiavitù: definizione
La schiavitù in
Italia è un reato previsto dall'articolo 600 del Codice Penale punito con la
reclusione da un minimo di otto anni a un massimo di venti anni per
chiunque costringa una
persona all'accattonaggio, a prestazioni sessuali, a prestazioni lavorative o
comunque all'esecuzione di attività illecite che implichino uno sfruttamento.
Lo stesso reato si concretizza nel momento in cui su una persona vengono
esercitati dei poteri che corrispondono al diritto di proprietà, viene ridotta o mantenuta in
uno stato di soggezione continuativa o viene obbligata a sottoporsi al prelievo
di organi.
Come si attua la schiavitù?
La riduzione di una persona in uno stato di soggezione e il suo
mantenimento in tale condizione si verificano nel momento in cui si mette in
pratica questa condotta con l'abuso di autorità, con l'inganno, con le minacce,
con la violenza o approfittando di una situazione di necessità, di inferiorità
psichica, di inferiorità fisica o di vulnerabilità della vittima. Lo stesso
evento si materializza anche quando vengono promesse o concesse delle somme di
denaro o vengono offerti dei vantaggi a persone che hanno autorità sulla vittima. Nel
caso in cui la schiavitù sia
compiuta con lo scopo di sfruttare la prostituzione o di sottoporre la vittima
a un prelievo di organi, la pena viene aumentata da un minimo di un terzo a un
massimo della metà. Lo stesso accade se a essere ridotti in schiavitù è un
soggetto che non ha ancora compiuto diciotto anni.
1. Qual è la ratio legis?
Il reato di schiavitù è
stato introdotto e poi aggiornato con l'intento di tutelare la persona umana
nella sua individualità.
2. La padronanza su dei bambini implica il reato di schiavitù?
Per rispondere a questo interrogativo è necessario fare
riferimento alla sentenza n. 4852 del 1990 della Cassazione, che rileva come
l'acquisizione della padronanza assoluta su dei bambini, ottenuta con cessioni
o rapimenti, costituisca una privazione completa della libertà altrui,
soprattutto nel caso in cui i bambini stessi vengano tenuti in uno stato di
soggezione e siano obbligati a rubare: tale sottomissione
al potere personale dà vita a una situazione che è in tutto e
per tutto paragonabile alla schiavitù.
3. Che differenza c'è tra il reato di induzione e sfruttamento della prostituzione e quello di riduzione in schiavitù?
La sentenza n. 26636 del 2002 della Cassazione sostiene che il
concorso formale tra il reato di induzione, favoreggiamento e sfruttamento
della prostituzione previsto dalla legge n. 75 del 1958 e quello di riduzione
in schiavitù previsto
dall'articolo 600 del Codice
Penale sia ammissibile. La sentenza si riferisce alla vicenda
di una donna non italiana che, dopo essere stata venduta, era stata obbligata a
prostituirsi per pagare ed essere liberata. Essa, per altro, era indotta al
meretricio con ripetuti maltrattamenti e con la violenza. L'obbligo di pagare
per riscattare la propria libertà, che in realtà è una condizione nativa, è
proprio il quid pluris che contraddistingue il reato di riduzione in condizione
analoga alla schiavitù.
4. Esiste rapporto di specialità tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e il reato di riduzione in schiavitù?
No, dal momento che i due reati intendono tutelare interessi
differenti: il primo ha a che fare con la correttezza dei rapporti familiari,
il secondo con lo status libertatis dell'individuo.