
La Corte di Cassazione, con sentenza n.44855 del 16 novembre 2012, ha affermato l’opportunità di distinguere e, dunque, considerare diversamente, i casi di invasività della sfera personale, a seconda dello strumento utilizzato.
L’invio di messaggi di posta elettronica, infatti, si differenzia dall’invio di sms (messaggi di testo inviati direttamente su dispositivo mobile).
La caratteristica che distingue i due tipi di invio consiste in questo: nel caso dei messaggi di posta elettronica il destinatario è libero di decidere se aprire o meno il messaggio ricevuto, possibilità che non avrebbe, invece, nel caso di sms.
Il
reato di molestie ex art. art. 660 c.p., secondo gli Ermellini, si
configura soltanto quando l’agente contatti, ripetutamente, la vittima o
ne disturbi la quiete privata via telefono o via sms.
Il reato non si configura, invece, nel caso in cui per “molestare” la vittima siano stati usati messaggi di posta elettronica.
La recente pronuncia stravolge l’indirizzo delle precedenti (anni 2011-2012). Infatti, prima del cambiamento di rotta, gli Ermellini ritenevano sufficiente ad integrare il reato la condotta insistente dell’agente, idonea perciò ad alterare lo stato psico-fisico della vittima, a prescindere dallo strumento usato. Tra tutte si ricorda la sentenza penale n. 36779 del 12 ottobre 2011 che equiparava "qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lui di sottrarsi all'immediata interazione con il mittente", ammettendo, di conseguenza, che anche l’invio di e-mail su supporto tecnologico idoneo alla ricezione, integrasse il reato di molestie.