L’art. 5, comma
4-bis del d.lgs. 368/2001: dispone: “…qualora per
effetto di successione di contratti a termine per lo
svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo
stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato
i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi,
indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra
un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo
indeterminato…”.
La riforma Fornero è intervenuta sui criteri di computo del
tetto massimo di 36 mesi aggiungendo all’articolo il periodo seguente: “…ai
fini del computo del periodo massimo di trentasei
mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione
aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi
soggetti, ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 1 del presente decreto e del
comma 4 dell'articolo 20 del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276, e successive
modificazioni…”.
L’aggiunta legislativa rivela una “ratio” anti-elusiva: avendo
inserito nel computo del termine anche i periodi occupazionali svolti in regime
di somministrazione di lavoro a tempo determinato (con equipollenza di
mansioni) risulta chiaro l’intento di evitare un utilizzo in frode alla legge
di queste fattispecie contrattuali volto ad aggirare l’ostacolo temporale posto
dalla norma per l’impiego del medesimo lavoratore in equivalenza di mansioni.
Tuttavia questo criterio è destinato ad operare in riferimento a contratti di somministrazione a termine, stipulati in data successiva al 18 luglio 2012
(data di entrata in vigore della l.92/12).
Avvocato Francesco Rotondi, LABLAW-Studio legale
