
Secondo il codice penale chiunque maltratta una persona della propria famiglia, un minore degli anni quattordici, una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Va segnalata una recente
sentenza della Suprema Corte (n. 40845/2012), secondo la quale costituisce
reato di maltrattamento anche l’offesa alla propria moglie che, non avendo un
lavoro, non contribuisce al sostentamento materiale della famiglia.
Nel caso di
specie il marito era accusato di maltrattamenti per aver offeso la moglie
facendole pesare il fatto di non contribuire al menage familiare, in quanto
ancora impegnata negli studi universitari.
La motivazione della sentenza in
parola si fonda principalmente sulla ripetitività degli episodi posti in essere
dal marito. Infatti, ritornando al caso esaminato dalla Corte di Cassazione,
l'uomo era solito offendere la moglie facendole pesare di essere a suo carico
si' da instaurare “un regime di vita logorante, volto al continuo discredito
della moglie, annientandone la personalità”.
E’ dunque lecito affermare che, per la configurazione del reato di maltrattamenti, non sia sufficiente un unico episodio di offesa, necessitando, al contrario, il carattere della ripetitività delle condotte.