Perché si parla di caporalato e in quali casi?
Il campo in cui è nato e si è maggiormente esteso il fenomeno del caporalato riguarda i settori dell’edilizia, dell’agricoltura e il manifatturiero, nei quali è periodicamente necessaria manodopera giornaliera, senza una particolare specializzazione. Il “caporale” è, in generale, colui il quale “intermedia”, ossia pone in collegamento domanda e offerta di lavoro: recupera quotidianamente lavoratori (il più delle volte stranieri) e li conduce sul luogo di lavoro. Tale figura può coincidere o meno con il datore di lavoro e pretendere eventualmente percentuali dalle persone “reclutate”. Rilevante ai fini del reato è che, in ogni caso, vi sia stato un sfruttamento del soggetto attraverso intimidazioni e che si sia approfittato del suo stato di bisogno.
Se il “caporale” non coincide con il datore di lavoro titolare dell’impresa, risponderà del reato di caporalato anche quest’ultimo?
Solitamente sì, poiché è difficile ipotizzare che il datore di lavoro non sia a conoscenza delle modalità e delle condizioni di trattamento dei lavoratori. Tuttavia andrà analizzato caso per caso per escludere il concorso nel reato in capo al datore di lavoro.
Un esempio di esclusione di caporalato per la società che utilizza i lavoratori?
Se il lavoro presso la società si svolge nel rispetto degli orari, in condizioni di tutela dei lavoratori e della loro sicurezza, con pagamento congruo e proporzionale al lavoro prestato, dovrà rispondere di caporalato solo il “reclutante” che pretenda poi una percentuale dai singoli lavoratori. Sempre che non vi sia un accordo tra datore di lavoro e “caporale”, e quest’ultimo non costituisca che un “longa manus” del primo.
L’impiego del lavoro “in nero” costituisce reato di caporalato?
Di per sé solo no, se le condizioni di lavoro sono eque. In tal caso il datore di lavoro subirà le sanzioni relative al lavoro irregolare, ma non la condanna penale per il reato di cui all’articolo 603-bis del codice penale. Tuttavia l’utilizzo di un numero rilevante di persone in nero per brevi periodi, può costituire indizio di sfruttamento illecito della manodopera.
Quali sono le condanne per il reato di caporalato?
Il caporalato è punito con la reclusione fino con la reclusione da 5 a 8 anni, oltre alla multa da euro 1.000 a euro 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. In caso di sussistenza di circostanze aggravanti, la pena è aumentata da un terzo alla metà.
Quali sono le circostanze aggravanti per il reato di caporalato?
Al di là delle circostanze aggravanti comuni, previste per qualsiasi reato dall’articolo 61 del codice penale, per il reato di caporalato sono previste ulteriori aggravanti specifiche, ricorrenti nei seguenti casi: se il lavoratori reclutati siano più di tre; se tra i soggetti reclutati vi sia un minore in età non lavorativa; se i lavoratori siano stati esposti a situazioni di grave pericolo.
Quali sono gli indici che possono portare chiaramente ad individuare la sussistenza del reato di caporalato?
Il reato di caporalato può ritenersi individuabile in sistematiche violazioni in tema di retribuzione (rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi, o al tempo e alla qualità del lavoro prestato); di orari di lavoro; di esclusione di riposi settimanali o ferie; di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro (tanto da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale); metodi di sorveglianza o di condizioni di lavoro ed alloggiative particolarmente degradanti.
Se il reclutamento sia avvenuto per una necessità improvvisa e contingente dell’impresa, sussiste il reato di caporalato?
La norma prevede che vi sia uno sfruttamento “sistematico” e attraverso un’attività organizzata; pertanto, nel caso di episodi occasionali ed alquanto limitati nel tempo, in generale sarà escluso il delitto in questione. Occorrerà, tuttavia, valutare caso per caso.
Un esempio di caso episodico che non costituisce caporalato?
Ad esempio se viene provato che il ridotto stipendio sia frutto di una
momentanea crisi finanziaria dell’impresa e non di uno sfruttamento
sistematico dei lavoratori, non si ravviserà il reato di caporalato, ma
si tratterà di una fattispecie civile di recupero del credito da lavoro
dipendente.
Il fatto di assumere lavoratori con regolare busta paga, può escludere il reato di caporalato?
In taluni casi tale regolarità si è dimostrata meramente “formale”, in quanto ai lavoratori pur in possesso di regolare busta paga e contratto, venivano poi, di fatto, liquidati importi di gran lunga inferiori. Se ciò è avvenuto in maniera ripetuta, quasi di prassi, il reato di caporalato potrà sussistere.
Da quando è considerato delitto il caporalato?
Il reato di caporalato è stato introdotto quale delitto nel codice penale, all’articolo 603-bis, attraverso l’articolo articolo 12, comma 1, del decreto legge 13 Agosto 2011, n. 138. Tale introduzione è divenuta definitiva con la conversione di tale decreto attraverso la legge 14 Settembre 2011 n. 148.
Prima dell’introduzione dell’articolo 603-bis, il caporalato non costituiva reato?
Prima non vi era norma del codice penale che lo qualificasse come delitto e ne individuasse i caratteri salienti e la relativa pena in termini di reclusione. Vi erano sanzioni di carattere pecuniario, di poca importanza, in tema di contravvenzioni. Tuttavia la giurisprudenza giungeva a punire tali condotte attraverso il rimando ad ulteriori fattispecie penali, quali ad esempio il reato di estorsione, di reato fine di un’associazione a delinquere (articolo 416), il più delle volte di stampo mafioso (articolo 416-bis), di riduzione in schiavitù, di lesioni, minacce eccetera, a seconda della tipologia delle condotte di volta in volta poste in essere.
Un esempio di caporalato colpito attraverso la contestazione del reato di estorsione?
E’ stato condannato per estorsione il datore di lavoro che, oltre a corrispondere, di prassi, retribuzioni decurtate, esercitava una continua pressione sui lavoratori (intimidazioni, minacce) al fine di indurli ad interrompere legittimi congedi per malattie o infortuni, o a sottoscrivere lettere di dimissioni in bianco, approfittando delle difficoltà economiche e della situazione precaria del mercato del lavoro.
Un esempio di caporalato colpito attraverso la contestazione del reato di riduzione in schiavitù?
E’ stato ravvisato tale reato nel caso in cui le persone erano ridotte in stato di soggezione e costrette a prestazioni di lavoro stressanti con sfruttamento dei compensi dovuti, sia attraverso l’inganno (le iniziali offerte di trasferimento, alloggio e lavoro ben remunerato erano strumentali alla succesiva riduzione in condizione analoga alla schiavitù), sia per abuso di autorità, di profittamento della situazione di inferiorità fisica o pischica o di necessità, oltre che minaccia o violenza. L'assenza di alternative per gli immigrati trasferitisi per lavoro ed alloggiati in luoghi isolati, in una con il debito per i servizi di accompagnamento sui luoghi di lavoro e di alloggio, costringevano gli stessi, bisognosi, a sottostare alle persone cui erano consegnati, che ne sfruttavano le prestazioni lavorative. Agli immigrati non clandestini erano stati ritirati i passaporti con l’inganno, precisando che tali documenti sarebbero stati funzionali alla registrazione degli alloggi e delle pratiche per il lavoro.
Ora che il reato di caporalato è stato inserito nel codice penale con l’art. 603-bis, significa che le condotte di sfruttamento dei lavoratori non sono più punibili secondo le altre norme?
No, in realtà, in tema caporalato, potrà intervenire un concorso di norme ed accadere che, da un lato, l’applicazione dell’articolo 603-bis possa essere esclusa di fronte a condotte sì gravi da comportare condanne maggiori (ad esempio per associazione mafiosa o estorsione); dall’altro, laddove la prevaricazione dei lavoratori sia stata posta in essere con modalità di per sé costituenti reato, si ricorrerà ad una plurima contestazione di reati (ad esempio 603-bis + ingiuria+ minaccia + lesioni personali).
Se accertato il reato di caporalato, quali sono le conseguenze per la società che ha sfruttato la manodopera?
Alla condanna per il reato di caporalato di cui all’articolo 603-bis (e anche nel caso di condanna per riduzione in schiavitù con sfruttamento di prestazioni lavorative) si aggiunge per datore di lavoro l'interdizione dagli uffici direttivi delle imprese, il divieto di concludere contratti di appalto, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nonché relativi subcontratti. Inoltre sarà escluso da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell'Unione Europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento per un periodo di 2 anni (ovvero di 5 anni in caso di recidiva).