Risarcimento del danno: definizione
- un infortunio con menomazione alla integrità psicofisica del soggetto (danno biologico) che si ripercuote su tutte le attività dello stesso, compresa la capacità lavorativa generica E’ indennizzabile quando è permanente. L’indennizzo del danno biologico viene determinato tabellarmente in base al grado di invalidità riportato, indipendentemente dalla retribuzione percepita dall’infortunato. Laddove però il danneggiato lamenti la perdita della capacità lavorativa specifica e di opportunità di carriera, potrà agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno ulteriore subito ( cosiddetto "danno differenziale") che sia in relazione diretta con il fatto lesivo provando in modo specifico e rigoroso di aver subito un danno ulteriore rispetto a quello ristorato dall’indennizzo. Per consentire l’accesso alle prestazioni INAIL. il lavoratore dovrà dare immediata notizia dell’infortunio al datore di lavoro che provvederà a denunciare all’INAIL l’infortunio;
- un demansionamento per adibizione a mansioni inferiori a quelle concordate in sede di assunzione in assenza di cause giustificative che, comunque, sono espressamente stabilite dalla legge. In caso di demansionamento il lavoratore può rifiutare la propria prestazione lavorativa (purché la reazione sia proporzionata e conforme a buona fede) e chiedere in giudizio il ripristino della situazione originaria ed il risarcimento del danno che, generalmente, viene liquidato in base al criterio equitativo anche con riferimento alla retribuzione percepita. La liquidazione dal danno solitamente è determinata in misura variabile da mezza ad una mensilità di retribuzione per ogni mese di dequalificazione;
- mobbing ossia sottoposizione protratta nel tempo del lavoratore a condotte vessatorie da parte di superiori gerarchici e/o colleghi diretti alla persecuzione o emarginazione del soggetto con conseguente lesione arrecata al lavoratore alla sfera lavorativa, sessuale, morale o psicologica (per esempio: adozione sistematica e pretestuosa di provvedimenti disciplinari, sistematica negazione di ferie e permessi, riduzione della autonomia del lavoratore in una ottica mortificatoria per il soggetto eccetera). Poiché il datore di lavoro ha il dovere di reprimere comportamenti vessatori (obiettivamente lesivi) dei suoi dipendenti nei confronti di altri dipendenti, sarà il datore di lavoro ad essere responsabile se non adotta provvedimenti che pongano fine ad atteggiamenti persecutori. Il lavoratore laddove il lavoratore provi in giudizio la lesione dell’integrità psicofisica ed il nesso di causalità tra i fatti dannosi e l’espletamento della propria prestazione lavorativa avrà diritto al risarcimento del danno. La liquidazione del danno non potrà che avere luogo necessariamente attraverso il ricorso a criteri equitativi, tenendo conto di ogni elemento che consenta di adeguare la somma alle circostanze del caso: la sofferenza della vittima, la durata della condotta illecita, la gravità delle lesioni, lo sconvolgimento della vita della vittima;
- licenziamento: diversa è la misura del risarcimento da illegittimo licenziamento a seconda dei requisiti dimensionali della azienda nella quale è impiegato il lavoratore. Nelle aziende con più di quindici dipendenti i lavoratori (esclusi i dirigenti) sono assistiti da tutela reale e il risarcimento da illegittimo licenziamento è commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegra ed in ogni caso non può essere inferiore a cinque mensilità. Quando il lavoratore abbia esercitato una altra attività durante il periodo di licenziamento andranno decurtati dalle somme percepite a titolo di risarcimento per la parte eccedente le cinque mensilità comunque dovute per legge. Al risarcimento spettante al lavoratore illegittimamente licenziato potrà aggiungersi, laddove il lavoratore non voglia essere reintegrato, una indennità sostitutiva della reintegra sul posto di lavoro che è pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore. Resta peraltro ferma la possibilità per il lavoratore che dimostra di aver sofferto a causa del licenziamento anche danni ulteriori alla professionalità od alla immagine di ottenere il risarcimento anche di queste voci di danno. Nelle aziende che impiegano fino a quindici dipendenti il lavoratore illegittimamente licenziato si vedrà corrispondere - laddove il datore non opti per la riassunzione - una indennità risarcitoria (tutela obbligatoria). Nel lasso di tempo intercorrente tra il licenziamento e la riassunzione non deve essere risarcita la perdita di retribuzione eventualmente subita dal lavoratore e, conseguentemente, è del tutto ininfluente a fini risarcitori che il lavoratore licenziato abbia medio tempore trovato una altra attività e percepito reddito. L’indennità risarcitoria per illegittimo licenziamento deve essere di un importo compreso tra un minimo di due mensilità e mezzo ed un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. In caso di licenziamento discriminatorio (ossia determinato da ragioni di credo politico, religiose, razziali, di sesso o nazionalità, invece, è irrilevante il numero dei lavoratori impiegati in azienda e la qualifica (la disciplina della nullità del licenziamento discriminatorio si applica anche ai dirigenti). Sul piano delle conseguenze si registrano due diversi orientamenti giurisprudenziali in tema di licenziamento discriminatorio: per un primo orientamento al lavoratore licenziato spettano le retribuzioni non percepite durante il licenziamento ed il diritto alla reintegra; per altro orientamento, invece, al lavoratore spetta la applicazione della tutela reale.