Lo scorso 11 febbraio, durante il cdm, il governo ha approvato il recepimento di una raccomandazione europea in materia di disciplina fallimentare. Un breve riassunto delle norme: la legge fallimentare è stata redatta nel 1942, ma ha subìto importanti variazioni nel 1999 (relativamente alle grandi imprese in crisi), nel 2006 (per diversi istituti fallimentari), nel 2012 (per le persone fisiche). Eppure, ancora non si è riusciti a trovare un riferimento normativo che consenta di evitare la spirale negativa ingeneratasi negli ultimi anni a causa della crisi.
Nel 2015 sono fallite 96.000 imprese che non erano più in grado di onorare i propri impegni, e quindi finite in default. Ma con esse, sono state trascinate nel gorgo anche le aziende creditrici che sono finite a loro volta a gambe all’aria. Recependo la raccomandazione europea, si introduce un nuovo iter per le aziende sane, ma con difficoltà finanziarie, che devono attivare obbligatoriamente la procedura di composizione assistita. Tutto risolto? Per niente, perché un’azienda che attivi questa procedura avrà maggiore diffidenza sia da parte delle imprese con cui lavora sia da parte delle banche dalle quali otterrà ancora meno credito. Con la solita spirale negativa che ben si conosce.
Un dato su tutti fa capire quanto sia problematico questo nuovo provvedimento: quasi la metà delle imprese italiane potrebbe tranquillamente rientrare nel novero delle aziende sane ma con difficoltà finanziarie. Eppure, lo stato non riesce a saldare i 50 miliardi di debiti che ancora ha nei confronti delle aziende, liquidità che consentirebbe all’intero sistema imprenditoriale di riprendere ossigeno. Ci si attende, quindi, che milioni di aziende vengano condotte alla composizione assistita, in uno scenario ancora tutto da scoprire.
