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Una brusca frenata sull'elusione fiscale

del 04/07/2013
di: Debora Alberici
Una brusca frenata sull'elusione fiscale
Brusca frenata della Suprema corte sull'elusione fiscale. Infatti il contestato abuso di diritto può essere avallato dal giudice tributario solo nel caso in cui venga ben motivato e identificato l'indebito risparmio d'imposta. È quanto affermato dalla Suprema corte che, con la sentenza n. 16684 del 3 luglio 2013, ha accolto l'ultimo motivi del ricorso presentato da una società che aveva conferito l'uso del know how, e altri pezzi dell'impresa. Il fisco aveva bollato l'operazione come cessione d'azienda sulla quale intendeva recuperare a tassazione il valore dell'avviamento. Nelle lunghe motivazioni i Supremi giudici pur riconoscendo e rafforzando l'esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale antielusivo a prescindere dalle fattispecie tipizzate nell'articolo 37 bis del dpr 600 del 1973, hanno dato ragione al contribuente sull'ultimo motivo del ricorso sostenendo che l'abuso del diritto contestato dal fisco può essere avallato dal giudice solo in presenza di spiegazioni convincenti sull'indebito risparmio d'imposta e sul fatto che sia stato l'unico motivo dell'operazione commerciale. Insomma per gli Ermellini nessuna sufficiente argomentazione logica-giuridica viene fornita dai Giudici di secondo grado a fondamento dell'assunto (elusione fiscale) né, in particolare, vengono esplicitate le ragioni per cui dalla operata riqualificazione discenderebbe un vantaggio fiscale in favore della contribuente, apparendo in tal senso del tutto irrilevanti, siccome non attinenti all'oggetto del contendere (indebita deduzione dell'avviamento) le ragioni, esplicitate dai Giudici di secondo grado, sottese all'operazione e dalle quali si evincerebbe la sussistenza dell'intento elusivo.

In altri termini, nella sentenza impugnata non risulta idoneamente e sufficientemente motivata la sussistenza dell'affermato vantaggio fiscale da parte della contribuente.

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