
E più si va avanti nel giudizio più cresce il tasso di successo del fisco.
Sono questi i dati per l'anno 2012 che Pierpaolo Baretta, sottosegretario all'economia, ha fornito ieri alla camera rispondendo a un'interrogazione presentata in commissione finanze da Scelta civica (primo firmatario Enrico Zanetti).
Il quesito, partendo dalle statistiche ufficiali sul contenzioso tributario degli ultimi tre anni, era volto a conoscere l'importo che ogni anno i ricorrenti versano a titolo provvisorio e che poi, a seguito delle decisioni dei giudici, gli uffici sono costretti a rimborsare. In assenza di una sospensiva amministrativa o giudiziale, infatti, chi ricorre in Ctp deve versare a titolo di riscossione frazionata un terzo delle imposte richieste.
Baretta replica che nel 2012, laddove le controversie si sono concluse con una sentenza «secca» (cioè accoglimento o rigetto del ricorso), l'Agenzia delle entrate ha vinto nel 55,7% dei casi in primo grado e nel 53,7% in appello. I tassi di successo pieno dei contribuenti si sono attestati rispettivamente al 44,3% e al 46,3%. Se si tiene conto pure delle decisioni parzialmente pro-fisco, cioè quelle che hanno portato a una rideterminazione della pretesa erariale senza comunque annullare l'accertamento, l'Agenzia ha avuto ragione il 61,6% delle volte in Ctp e il 60% in Ctr.
La forbice si allarga ulteriormente in Cassazione (71% pro-uffici contro 29% pro-contribuenti), dove tuttavia circa la metà dei ricorsi totali è ritenuta inammissibile. Motivi per i quali, secondo il Mef, nei giudizi contro le Entrate non si ravvisa la «notevole aleatorietà della effettiva debenza» rilevata dai deputati istanti.
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