
Si tratta, infatti, di fattispecie di pura condotta con evento di pericolo astratto.
È quanto ribadito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 12848 del 20 marzo 2013.
Dunque, la terza sezione penale ha reso definitiva la condanna a carico di un imprenditore di Sassuolo accusato di aver emesso fatture a fronte di operazioni inesistenti.
Lui si era difeso sostenendo che la sua condotta non aveva arrecato all'Erario alcun danno. Ciò perché i costi sostenuti non erano mai transitati in contabilità e quindi non erano stati mai indicati fra le componenti negative del reddito.
La tesi non ha convinto i Supremi giudici che hanno motivato la conferma definitiva della condanna sancendo che «vertendosi in ipotesi di reati di pura condotta con evento di pericolo astratto, è del tutto irrilevante l'idoneità della condotta stessa a determinare tale danno.
La consumazione del reato coincide con l'emissione della fattura falsa e con la presentazione della dichiarazione, nel caso che qui interessa, ai fini Iva, a prescindere dal conseguimento o meno di una effettiva evasione d'imposta».
Da qualche anno a questa parte la Cassazione ha aderito alla linea dura in caso di fatture false.
Con la sentenza n. 44479/2012, un altro collegio della terza sezione penale ha affermato che può essere condannato l'imprenditore che ha gonfiato gli importi «ritoccando» a mano i documenti contabili. La responsabilità penale può essere esclusa solo nel caso in cui il contribuente dimostri l'effettivo esborso di denaro.
L'argomentare dei giudici di merito, spiega Piazza Cavour, è semplice e lineare quando afferma che non solo gli importi delle fatture in possesso del contribuente risultano visibilmente ritoccati al rialzo rispetto agli originali reperiti nella contabilità dell'emittente, con evidente contraffazione manuale, ma anche l'imputato non è stato in grado di dimostrare in alcun modo quanto ha effettivamente pagato al suo fornitore trincerandosi dietro la giustificazione di avere di volta in volta pagato il corrispettivo in contanti.
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