
Ma non è ancora tutto: l'amministrazione può contestare l'abuso del diritto al professionista che prende in leasing lo studio dalla società di famiglia.
A questa conclusione è giunta la Corte di cassazione che, con l'ordinanza n. 6528 del 14 marzo 2013, ha respinto il ricorso incidentale di un dentista e accolto quello principale dell'amministrazione finanziaria.
Insomma non ha retto di fronte ai Supremi giudici la tesi del professionista che lamentava una violazione di legge perchè, a suo avviso, la ctr non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni rese in sede amministrativa. A questa obiezione i giudici con l'Ermellino hanno risposto che «la procedura di preventiva richiesta di chiarimenti al contribuente, prima dell'emanazione dell'avviso di accertamento, prevista dal quarto comma dell'art. 37 bis del dpr n. 600 del 1973, introdotto dall'art. 7 dlgs n. 358 del 1998 (disposizioni antielusive) non si applica alle contestazioni dell'amministrazione finanziaria aventi ad oggetto comportamenti considerati elusivi, tenuti dal medesimo nella vigenza della art. 10 legge n. 408 del 1990». Infatti, ad avviso del Collegio di legittimità, la tesi contraria trova ostacolo logico prima che giuridico, «nell'univoca specificazione legislativa dell'oggetto della richiesta di chiarimenti, dato dalle indicazioni dei motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2 del medesimo articolo. Infatti le previsioni di questi due commi, per il disposto dell'art. 9 dlgs n. 358 del 1997, non possono essere applicate ai comportamenti considerati elusivi in base alle precedenti disposizioni del richiamato art. 10 legge n. 408 del 1990». Ma non è ancora tutto.
Nell'accogliere il primo motivo del ricorso presentato dall'amministrazione finanziaria la Suprema corte ha chiarito che prendere il leasing un immobile della società di famiglia da adibire a studio professionale produce un'indebita detrazione e quindi un risparmio di imposta non dovuto che può essere recuperato dal fisco che contesta l'elusione fiscale.
Sul punto Piazza Cavour ricorda che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto di strumenti giuridici idonei a ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili.
Fra l'altro, per quanto riguarda l'Iva, le pratiche abusive consistenti nell'impiego di una forma giuridica che ha come scopo principale un risparmio di imposta non sono altro che abusi di diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento comunitario, e pertanto assumono rilievo normativo primario in tale ordinamento, indipendentemente dalla presenza di una clausola generale antielusiva in quello fiscale italiano.
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