La futura mamma, che lavorava a part-time, matura esperienza anche se rimane a casa e non fa, quindi, tirocinio. È quanto ha stabilito il ministero dello sviluppo economico, Dipartimento per l'internazionalizzazione, Divisione IV, promozione della concorrenza, con la risoluzione 257181 del 17 dicembre scorso. L'articolo 71, comma 6, del dlgs 59/2010 (di recepimento della direttiva Bolkestein) ha previsto l'obbligatorietà di specifici requisiti professionali per coloro i quali sono intenzionati a svolgere l'attività commerciale nel settore alimentare o della somministrazione. La professionalità, in concreto, viene dimostrata da chi ha frequentato con esito positivo un corso professionale per il commercio, la preparazione o la somministrazione degli alimenti, istituito o riconosciuto dalle regioni o dalle province e da chi è in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennale, o di altra scuola ad indirizzo professionale, almeno triennale, purché nel corso di studi siano previste materie attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti. E infine, da chi ha prestato la propria opera, per almeno due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, presso imprese esercenti l'attività nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all'amministrazione o alla preparazione degli alimenti. L'unico problema, in sostanza, secondo il Mise, con riferimento ai periodo lavorativo svolto in regime di part-time è che nel caso in cui il monte ore lavorato risulti corrispondente almeno al 50% di quello con contratto a tempo pieno. Soltanto in tale ipotesi è consentita l'assimilazione al tempo pieno e quindi è possibile riconoscere la professionalità acquisita. Se, invece, il rapporto di lavoro era a tempo parziale di durata inferiore al 50%, dovrà essere applicato il criterio della proporzionalità.