
La recente sentenza della Suprema Corte (Cassazione Penale del 7.2.2012 n. 4703) ha confermato l'applicabilità della normativa in tema di responsabilità amministrativa anche ai professionisti. La questione posta all'attenzione della Cassazione riguarda il caso di uno studio odontoiatrico, con forma di società in accomandita semplice, al quale il Tribunale delle libertà di Messina (Pronuncia n. 208 del 26 maggio 2011) ha comminato la sanzione prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo 231/01, ovvero l'interdizione dall'esercizio dell'attività, per un anno. Si tratta di un provvedimento molto grave fondato su due presupposti:
È prassi comune per le professioni intellettuali (studi medici, ingegneri, commercialisti, architetti, eccetera) svolgere l'attività professionale in forma societaria: in genere nella forma di società semplice, se si tratta di studi associati; oppure affiancando alla struttura professionale, svolta sia in forma associata che in forma individuale, una società di mezzi (una società in accomandita semplice, una società a responsabilità limitata o più raramente una società per azioni) in capo alla quale vengono poste le strutture informatiche, il personale, i servizi generali, eccetera.
Fino a oggi dottrina e giurisprudenza avevano considerato le professioni un mondo a parte che vive di regole proprie e al quale non erano applicabili nè le norme relative all'impresa, nè le procedure fallimentari, nè tantomeno quelle previste dal decreto legislativo 231/01.
In realtà l'articolo 1, al comma 2 della legge in esame, individua i soggetti destinatari delle norme sulla responsabilità penale degli enti tutte le società, aventi o non personalità giuridica e quindi:
Ma vi è di più. La semplice qualifica di società secondo la più ampia accezione di ente anche privo di personalità giuridica, (quindi anche la “società professionale”) basta per far scattare, in presenza di uno dei reati presupposto, la responsabilità penale dell'impresa. Il nuovo orientamento della Suprema Corte non mancherà di suscitare accesi dibattiti tra gli operatori del diritto e tra le categorie professionali che saranno chiamate a valutare l'adozione di modelli idonei a difendere l'ente da possibili sanzioni.
- l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità;
- è stata accertata la reiterazione nel tempo delle condotte illecite.
È prassi comune per le professioni intellettuali (studi medici, ingegneri, commercialisti, architetti, eccetera) svolgere l'attività professionale in forma societaria: in genere nella forma di società semplice, se si tratta di studi associati; oppure affiancando alla struttura professionale, svolta sia in forma associata che in forma individuale, una società di mezzi (una società in accomandita semplice, una società a responsabilità limitata o più raramente una società per azioni) in capo alla quale vengono poste le strutture informatiche, il personale, i servizi generali, eccetera.
Fino a oggi dottrina e giurisprudenza avevano considerato le professioni un mondo a parte che vive di regole proprie e al quale non erano applicabili nè le norme relative all'impresa, nè le procedure fallimentari, nè tantomeno quelle previste dal decreto legislativo 231/01.
In realtà l'articolo 1, al comma 2 della legge in esame, individua i soggetti destinatari delle norme sulla responsabilità penale degli enti tutte le società, aventi o non personalità giuridica e quindi:
- le società per azioni e in accomandita per azioni;
- le società a responsabilità limitata;
- le società per azioni con partecipazione dello Stato o di enti pubblici;
- le società per azioni di interesse nazionale;
- le società estere diverse da quelle nazionali;
- le società cooperative;
- le società mutue assicuratrici;
- le società semplici;
- le società in nome collettivo o in accomandita semplice;
- le società previste da leggi speciali, quali le società di intermediazione finanziaria, gli intermediari finanziari, le società di investimento e di gestione, di fondi comuni di investimento, le società di revisione.
Ma vi è di più. La semplice qualifica di società secondo la più ampia accezione di ente anche privo di personalità giuridica, (quindi anche la “società professionale”) basta per far scattare, in presenza di uno dei reati presupposto, la responsabilità penale dell'impresa. Il nuovo orientamento della Suprema Corte non mancherà di suscitare accesi dibattiti tra gli operatori del diritto e tra le categorie professionali che saranno chiamate a valutare l'adozione di modelli idonei a difendere l'ente da possibili sanzioni.
Dott. Mario Basilico
Interprofessionale Srl