
La III Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4377/12, ha stabilito che nei procedimenti per il reato di violenza sessuale di gruppo, previsto e punito dall’articolo 609-octies codice penale, l’organo giudicante procedente non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma può applicare misure cautelari alternative. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, dando un'interpretazione estensiva alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale.
In base a tale giudizio, la Cassazione ha pertanto annullato un'ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma, che aveva confermato il carcere - ritenendo che fosse l'unica misura cautelare applicabile - per due giovani accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza del frosinate, con rinvio del fascicolo allo stesso Giudice perché faccia una nuova valutazione, tenendo conto dell'interpretazione estensiva data dalla Suprema Corte alla sentenza della Corte Costituzionale sopra citata.
Ai sensi del terzo comma dell’articolo 275 codice di procedura penale, così come modificato dalla legge n. 38 del 23 aprile 2009, che ha convertito il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 - legge di contrasto alla violenza sessuale, nata sulla base del diffuso allarme sociale verso gli episodi di violenza sulle donne - non era consentito al Giudice (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza.
La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità della norma de qua, aveva dichiarato il dettato normativo dell’articolo 275 comma 3 codice di procedura penale in contrasto con gli articoli 3, 13 e 27 della Costituzione, riguardanti rispettivamente l’uguaglianza davanti alla legge, la libertà personale e la funzione della pena, in relazione agli articoli 600-bis, 609-bis e 609-quater n. 1 codice penale, ritenendo così applicabili misure alternative al carcere “nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure”.
Con la sentenza n. 4377/2012 gli ermellini, nonostante la Corte Costituzionale non fosse stata interessata specificatamente della misura cautelare applicabile per il reato di cui all’articolo 609-octies codice penale, ma solo dei reati di violenza sessuale e di atti sessuali su minorenni, hanno ritenuto applicabili tali principi interpretativi anche alla violenza sessuale di gruppo, sostenendo che quest’ultimo reato presenta caratteristiche essenziali non difformi da quelle che la Consulta ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio. Di qui - conclude la Cassazione - “Unica interpretazione compatibile” con i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale “è quella che estende la possibilità per il Giudice di applicare misure diverse dalla custodia carceraria anche agli indagati sottoposti a misura cautelare” per il reato di violenza sessuale di gruppo.
In base a tale giudizio, la Cassazione ha pertanto annullato un'ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma, che aveva confermato il carcere - ritenendo che fosse l'unica misura cautelare applicabile - per due giovani accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza del frosinate, con rinvio del fascicolo allo stesso Giudice perché faccia una nuova valutazione, tenendo conto dell'interpretazione estensiva data dalla Suprema Corte alla sentenza della Corte Costituzionale sopra citata.
Ai sensi del terzo comma dell’articolo 275 codice di procedura penale, così come modificato dalla legge n. 38 del 23 aprile 2009, che ha convertito il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 - legge di contrasto alla violenza sessuale, nata sulla base del diffuso allarme sociale verso gli episodi di violenza sulle donne - non era consentito al Giudice (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza.
La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità della norma de qua, aveva dichiarato il dettato normativo dell’articolo 275 comma 3 codice di procedura penale in contrasto con gli articoli 3, 13 e 27 della Costituzione, riguardanti rispettivamente l’uguaglianza davanti alla legge, la libertà personale e la funzione della pena, in relazione agli articoli 600-bis, 609-bis e 609-quater n. 1 codice penale, ritenendo così applicabili misure alternative al carcere “nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure”.
Con la sentenza n. 4377/2012 gli ermellini, nonostante la Corte Costituzionale non fosse stata interessata specificatamente della misura cautelare applicabile per il reato di cui all’articolo 609-octies codice penale, ma solo dei reati di violenza sessuale e di atti sessuali su minorenni, hanno ritenuto applicabili tali principi interpretativi anche alla violenza sessuale di gruppo, sostenendo che quest’ultimo reato presenta caratteristiche essenziali non difformi da quelle che la Consulta ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio. Di qui - conclude la Cassazione - “Unica interpretazione compatibile” con i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale “è quella che estende la possibilità per il Giudice di applicare misure diverse dalla custodia carceraria anche agli indagati sottoposti a misura cautelare” per il reato di violenza sessuale di gruppo.
Avv. Cristina Rastelli
Studio Legale Avv. Cristina Rastelli