
Non è punibile come maltrattamenti in famiglia o mobbing la condotta vessatoria e denigratoria del "capo" verso il lavoratore, con atti moralmente violenti e psicologicamente minacciosi, che rappresenta invece il reato di violenza privata. Lo stabilisce la Cassazione (sentenza n. 44803 del 21/12/2010) con riferimento al comportamento di un capo-officina verso un meccanico sottoposto a maltrattamenti continuati. Nel caso in esame mancava lo stato di particolare soggezione morale e psicologica, richiesto dall'articolo 572 c.p. - che sanziona la violenza in ambito familiare - così come non è configurabile il reato ex art. 62 bis c.p. (c.d. Mobbing). Perciò la Suprema Corte stabilisce che "sembra piuttosto correttamente configurabile […] nella condotta dell'imputato il reato di violenza privata continuata aggravata ex art. 61 c.p., n. 2, potendo ricondursi ai puntuali episodi, contestati nell'imputazione, caratteri di una condotta moralmente violenta e psicologicamente minacciosa, idonei a costringere il lavoratore a tollerare uno stato di deprezzamento delle sue qualità lavorative nel contesto di una condotta articolata in più atti consequenziali ad un medesimo disegno criminoso, con l'intuibile aggravante della commissione del fatto con abuso di relazioni di prestazioni d'opera".
a cura della Redazione