Molto di frequente capita che, all’inizio del percorso matrimoniale, uno dei coniugi, per praticità, apra un conto corrente cointestato con l’altro coniuge.
Sul conto corrente viene accreditato il suo stipendio mensile e altri emolumenti personali a lui riferibili, come risarcimenti, donazioni o eredità. L’altro coniuge, invece, non versa nulla sul conto corrente e rimane mero cointestatario formale del rapporto. Una situazione come questa può comportare problemi in caso di separazione legale, dal momento che il coniuge cointestatario che non ha versato danari sul conto corrente, può pretendere per legge la metà della provvista esistente al momento dello scioglimento della comunione.
La Suprema Corte, chiamata a decidere su una controversia avente ad oggetto tale questione, ha stabilito il principio di diritto secondo cui: “la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori solidali del conto (ex art. 1854 c.c.), sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, fa presumere la con titolarità dell’oggetto del contratto, salvo la prova contraria a carico della parte che deduce una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla contestazione della stessa.”
Ergo, il coniuge che ha effettivamente versato le somme sul conto corrente cointestato, può recuperarle integralmente in caso di scioglimento della comunione, solo se è in grado di dimostrare che si tratta di risorse a lui o a lei direttamente riconducibili.