Dal 22 ottobre entrano in vigore le norme introdotte dal Decreto Legislativo numero 156 del 2015 relativo alle misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, numero 23.
L’interpello è un istituto messo a disposizione del contribuente che prima di mettere in atto un determinato comportamento fiscale può ricorrere a tale strumento al fine dell’ottenimento di indicazioni interpretative circa l’applicazione di una determinata norma fiscale, obiettivamente incerta da applicare a casi concreti e personali, e se non è stata ancora messa in atto un’azione di controllo nei confronti del contribuente istante.
I contribuenti possono fare ricorso a quattro principali tipi di interpello, ossia:
Ø Interpello ordinario:
· il contribuente richiede all’amministrazione la corretta interpretazione di una norma tributaria;
· il contribuente che avendo individuato la fattispecie concreta (interpello considerato qualificatorio), richiede lumi sul trattamento della fattispecie stessa.
Un esempio può far riferimento all’individuazione di una spesa, tra quelle di pubblicità o rappresentanza, o l’esistenza o meno di una stabile organizzazione;
Ø Interpello probatorio, ai fini della verifica della presenza di condizioni che potrebbero portare all’applicazione di un regime fiscale agevolato o meno:
· Operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in paesi cosiddetti black list;
· Interpelli presentati da società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative”;
· Interpello relativo al riconoscimento del beneficio Aiuto alla Crescita Economica (ACE: l’agevolazione introdotta dal decreto “Salva Italia” (Dl 201/2011) per rafforzare il sistema produttivo italiano puntando su una riduzione delle imposte sui redditi);
Ø L’interpello disapplicativo rappresenta l’unica ipotesi in cui l’interpello è obbligatorio, collegato all’ipotesi del riporto delle perdite, nei casi indicati dall’articoli 84 e 172 Testo Unico delle Imposte sui Redditi, e alla deducibilità delle minusvalenze, in caso di cessioni delle partecipazioni.
Le istanze devono essere presentate in via preventiva rispetto alla data di scadenza della presentazione della dichiarazioni o ai fini dell’assolvimento di obblighi tributari. Il mancato rispetto dei termini corretti comporta la nullità dell’istanza presentata.
La riforma si basa in linea di massima sulle seguenti novità:
Ø Generale non obbligatorietà dell’istanza, fatti salvi alcuni casi prima enunciati;
Ø Termini tassativi di risposta differenziati:
· 90 giorni per la riposta ad interpelli ordinari;
· 120 giorni per gli interpelli probatori.
I termini possono essere allungati fino a un massimo di 60 giorni qualora l’Amministrazione Finanziaria richieda una integrazione della documentazione presentata; trascorsi tali termini, senza che venga fornita una riposta al contribuente, si determina una condizione di silenzio-assenso.
La riposta scritta e motivata vincola l’Amministrazione Finanziaria in merito alla lettura fornita circa una determinata questione, e in riferimento a quel preciso contribuente istante; in caso di silenzio assenso nei confronti del contribuente, in riferimento a una tenuta comportamentale da lui prospettata, saranno nulli gli atti di imposizione o sanzionatori difformi dalla risposta tacita o espressa, salvo l’ipotesi di una rettifica alla precedente interpretazione, che però non ha efficacia retroattiva.
È previsto il divieto di impugnabilità delle risposte alle istanze, salvo i casi di istanze di interpello disapplicativo, in questo caso si può impugnare anche l’atto impositivo. In caso di risposta fornita al contribuente, in merito a credito d’imposta, detrazioni, deduzioni, l’atto di accertamento, deve essere preceduto da una richiesta di chiarimenti da fornire entro sessanta giorni. I dati e le notizie dedotti in fase di richiesta possono essere utilizzati in fase amministrativa o contenziosa.