
Recentemente
la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi su uno dei temi più
dibattuti degli ultimi anni, quello delle coppie di fatto. Ribadendo
l’assenza di una completa e specifica regolamentazione giuridica sul
punto, con la sentenza n. 1277 del 22 gennaio 2014, la Suprema Corte ha
accolto il ricorso di una donna che, per seguire in Cina l’allora
convivente, aveva rinunciato al lavoro e alla propria carriera. L'uomo,
negli anni di convivenza ‘more uxorio’, durante i quali i due avevano
anche avuto un figlio, aveva corrisposto alla compagna una somma
mensile, pretendendo, successivamente, al termine della relazione, che
gli fossero restituiti gli importi versati nel corso degli anni. I giudici del merito avevano dato ragione al compagno stabilendo che la donna fosse tenuta alla restituzione di tutto quanto percepito, ma la Suprema Corte che ha disposto un nuovo processo, ha rilevato che l’erogazione della somma pretesa in restituzione era stata effettuata in adempimento di una obbligazione naturale sorta nell'ambito della convivenza more uxorio e relativa, in particolare, alla creazione di una disponibilità finanziaria in favore della donna, anche per compensare la perdita di reddito derivante dall’attività di dirigente d’azienda a cui aveva rinunciato per seguire il proprio compagno: testualmente, “i doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio refluiscono sui rapporti di natura patrimoniale, nel senso di escludere il diritto del convivente di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso o in relazione alla convivenza: si attribuisce in tal modo alla nozione di obbligazione naturale fra conviventi una valenza marcatamente indennitaria che, soprattutto quando le dazioni siano avvenute non alla fine del rapporto, ma nel corso di esso, non le appartiene, in quanto l'assistenza materiale fra conviventi, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza - può affermarsi indipendentemente dalle ragioni che abbiano indotto l'uno o l'altro in una situazione di precarietà sul piano economico. Eventuali contribuzioni di un convivente all'altro vanno intese, invero, come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo che non può non implicare, pur senza la cogenza giuridica di cui all'art. 143, comma 2, c.c., forme di collaborazione e di assistenza morale e materiale”. |