
Risponde del reato di violenza privata ex art. 610 c.p. il convivente che impedisce alla ex compagna di chiamare le forze dell'ordine. La norma infatti “punisce colui che, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”. Così la Corte di Cassazione, sez. V Penale, con sentenza 11 giugno- 26 novembre 2013, n. 47084
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 giugno- 26 novembre 2013, n. 47084
Presidente Zecca
Relatore Oldi
Ritenuto in
fatto
1. Con sentenza in data 12 aprile 2012 la Corte
d'Appello di Firenze, in ciò parzialmente confermando la decisione
assunta dal Tribunale di Montepulciano (invece riformata in altra
parte), ha riconosciuto F.I. responsabile del delitto di violenza
privata ai danni della ex convivente C.C. .
1.1. Ha ravvisato
quel collegio gli estremi del reato contestato nell'avere il F.
strappato di mano alla C. l'apparecchio telefonico e nell'averlo poi
scagliato per terra, così impedendole di chiamare i carabinieri. A
tale ricostruzione del fatto è pervenuto in base alle dichiarazioni
della persona offesa, ritenute attendibili per la loro linearità e
per l'assenza di un intento persecutorio.
2. Ha proposto ricorso
per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore, affidandolo
a due motivi.
2.1. Col primo motivo, articolato in più censure,
il ricorrente nega che nella fattispecie sia configurabile il reato
di violenza privata, stante la mancanza di un effetto coattivo di
carattere psicologico sulla vittima, tale da limitare la sua capacità
di autodeterminazione; a riprova di ciò afferma che la C. , subito
dopo l'uscita del deducente dalla sua casa, aveva chiamato i
carabinieri (come probabilmente avrebbe fatto, così sostiene, anche
se egli fosse rimasto). Sotto altro profilo contesta l'attendibilità
della persona offesa, per essersi costei risolta a comparire in veste
di testimone solo sotto la minaccia di un accompagnamento coattivo ad
opera della forza pubblica, dopo aver disertato ripetutamente le
udienze all'uopo fissate e fatto pervenire certificati medici
sospetti di falsità. Contrasta, altresì, il passo motivazionale in
cui la Corte di merito ha rilevato l'assenza di animosità della C. e
sostiene che la deposizione di costei abbia presentato un elemento di
contraddittorietà col narrato della querela.
2.2. Col secondo
motivo il ricorrente impugna il diniego delle attenuanti generiche,
che assume essergli dovute in relazione ai buoni rapporti con la
figlia delle parti e al comportamento tenuto dalla C. nella
circostanza.
Considerato in diritto
1. Il primo
motivo di ricorso è privo di fondamento in ambedue le censure nelle
quali si articola.
1.1. Ciò è a dirsi, innanzi tutto, della
denuncia di falsa applicazione dell'art. 610 cod. pen.. Detta norma
punisce colui che, con violenza o minaccia, costringe altri a fare,
tollerare od omettere qualche cosa; la giurisprudenza di legittimità
ha precisato, altresì, che la violenza costitutiva dell'illecito può
anche essere esercitata sulle cose (Sez. 5, n. 21559 del 09/03/2010,
Loreggian, Rv. 247757). Nel caso di specie, secondo la ricostruzione
in fatto scaturita dal giudizio di merito, il F. impedì alla ex
convivente di chiamare i carabinieri dapprima strappando il telefono
dalla presa e scagliandolo contro la parete, e togliendole poi di
mano il telefono cellulare per scagliarlo a terra: il che è valso,
indubbiamente, ad integrare la coercizione della persona offesa,
impedita nel modo descritto a porre liberamente in atto ciò che si
era proposta.
Non giova al ricorrente sostenere che non vi sia
stata un'effettiva coazione, come sarebbe dimostrato - a suo dire -
dal fatto che la C. abbia poi effettivamente chiamato le forze
dell'ordine, dopo l'allontanamento del F. dalla sua casa; è, invero,
di tutta evidenza come tale azione sia stata posta in essere dalla
persona offesa solo quando, cessati gli effetti della condotta
violenta dell'imputato, essa era stata restituita alla propria
libertà di autodeterminazione: a quel punto il reato si era già
consumato.
1.2. Del pari infondata è la censura con cui il
ricorrente contrasta il giudizio di attendibilità della persona
offesa, espresso da ambedue i giudici di merito. Trattasi, invero, di
apprezzamento adeguatamente motivato in quanto basato su
un'argomentata valorizzazione di circostanze significative, quali
l'assenza di “sbavature” - id est di contraddizioni - nella
descrizione dei fatti, l'omessa costituzione di parte civile,
l'assenza di strascichi ritorsivi a seguito della definitiva chiusura
di ogni rapporto.
L'iniziale renitenza della C. alle ripetute
citazioni quale teste, lungi dal recare apporto alla tesi del
ricorrente, è invece significativa di un disinteresse per il
processo che, indubbiamente, contrasta con l'ipotesi che essa fosse
animata da volontà di persecuzione nei confronti dell'imputato.
è
appena il caso di aggiungere che l'assunto secondo cui la C. , nel
corso della sua deposizione testimoniale, sarebbe incorsa in
contraddizioni contestatele dalla difesa, è inosservante del
requisito di specificità e non può essere preso in considerazione.
2. Va disatteso, altresì, il secondo motivo di ricorso. Il fatto
che il F. abbia mantenuto buoni rapporti con la figlia, nella
doverosa osservanza dei doveri genitoriali, già non varrebbe a
giustificare l'applicazione delle attenuanti generiche, in quanto
circostanza del tutto avulsa dalle modalità del fatto cui si
riferisce la pronuncia di condanna; in aggiunta a ciò va osservato
che, secondo quanto emerge dalla ricostruzione recepita dai giudici
di merito, anche nei confronti della figlia la condotta tenuta
dall'imputato nella circostanza per cui è processo non è stata
immune da riprovazione, atteso che l'atteggiamento violento da lui
tenuto nei confronti della C. si manifestò sotto gli occhi della
minore, tanto da spingerla al pianto. Il fatto che la Corte d'Appello
abbia acceduto a una benevola interpretazione - non impugnata dal
P.M. - dell'art. 610 cod. pen., escludendo la configurabilità del
reato di violenza privata nell'avere egli costretto con la forza la
ex convivente a inginocchiarsi davanti a lui, non ne impedisce la
valutazione ai fini del giudizio complessivo sull'entità del fatto e
sulla personalità dell'imputato, apportando elementi di segno
contrario al riconoscimento dell'invocata attenuante.
Neppure può
sostenersi, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, che gli
accadimenti culminati nella consumazione del reato siano dipesi da
comportamenti illegittimi della C. , a carico della quale non risulta
che si siano accertate inosservanze delle prescrizioni riguardanti
l'affidamento della minore.
3. Il rigetto del ricorso, che
pianamente consegue a quanto fin qui osservato, comporta la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
3.1. La
natura dei rapporti intercorsi con la persona offesa dal reato e il
coinvolgimento di una minorenne comportano l'oscuramento dei dati
identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone l'oscuramento dei dati identificativi.