
Il proprietario di un immobile decise di concederlo in locazione ad una signorina che esercitava l'attività di prostituta. Tempo dopo, il concedente si vide notificare un sequestro relativo all'immobile locato, in relazione al reato di favoreggiamento della prostituzione.
Il caso è stato sottoposto alla Corte di Cassazione la quale si è pronunciata lo scorso luglio affermando i seguenti principi.
Il reato di locazione al fine di esercizio di una casa di prostituzione, contemplato della legge Merlin (dal nome della senatrice che la propose nel 1958), richiede quali elementi costitutivi, non solo il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone in un locale, ma anche e soprattutto l'esistenza, all'interno dello stesso locale, di una certa organizzazione finalizzata appunto all'attività di prostituzione e l'intervento di un soggetto che predisponga, sovrintenda e sfrutti l'attività delle persone che si prostituiscono, alla stregua di quanto avveniva prima della legge Merlin nelle c.d. "case di tolleranza".
Quest'ultima legge aveva come finalità, tra l'altro, la tutela della libertà di autodeterminazione della prostituta, del libero svolgimento della sua attività e della sua dignità. Non pare, secondo l'orientamento della Suprema Corte, che corrisponda a questa finalità una interpretazione che, impedendo in sostanza alle medesime la locazione di un appartamento ove svolgere liberamente la loro lecita attività, le costringa ad esercitarla per la strada, con maggiori pericoli, anche di sfruttamenti e di costrizioni. Inoltre, sarebbe intrinsecamente manifestamente illogico un sistema normativo che, da una parte, qualifichi come lecita l'attività della prostituta svolta liberamente e, dall'altra parte, contemporaneamente vieti una normale prestazione alle stesse di beni e servizi alle medesime condizioni alle quali sono prestati in relazione ad altre attività.
Nel caso in esame l'appartamento è stato locato ad un canone che può rientrare tra quelli di mercato. Pertanto, qualora il proprietario, come nel caso di specie, oltre al godimento dell'appartamento, non abbia fornito ulteriori prestazioni ed attività diverse da quelle che potrebbe fornire a qualsiasi inquilino, è esclusa la configurabilità del reato di favoreggiamento della prostituzione, a nulla rilevando che il locatore fosse a conoscenza di questa destinazione, e che vi sia stata una successione di conduttrici, anche per periodi non lunghi.
Il caso è stato sottoposto alla Corte di Cassazione la quale si è pronunciata lo scorso luglio affermando i seguenti principi.
Il reato di locazione al fine di esercizio di una casa di prostituzione, contemplato della legge Merlin (dal nome della senatrice che la propose nel 1958), richiede quali elementi costitutivi, non solo il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone in un locale, ma anche e soprattutto l'esistenza, all'interno dello stesso locale, di una certa organizzazione finalizzata appunto all'attività di prostituzione e l'intervento di un soggetto che predisponga, sovrintenda e sfrutti l'attività delle persone che si prostituiscono, alla stregua di quanto avveniva prima della legge Merlin nelle c.d. "case di tolleranza".
Quest'ultima legge aveva come finalità, tra l'altro, la tutela della libertà di autodeterminazione della prostituta, del libero svolgimento della sua attività e della sua dignità. Non pare, secondo l'orientamento della Suprema Corte, che corrisponda a questa finalità una interpretazione che, impedendo in sostanza alle medesime la locazione di un appartamento ove svolgere liberamente la loro lecita attività, le costringa ad esercitarla per la strada, con maggiori pericoli, anche di sfruttamenti e di costrizioni. Inoltre, sarebbe intrinsecamente manifestamente illogico un sistema normativo che, da una parte, qualifichi come lecita l'attività della prostituta svolta liberamente e, dall'altra parte, contemporaneamente vieti una normale prestazione alle stesse di beni e servizi alle medesime condizioni alle quali sono prestati in relazione ad altre attività.
Nel caso in esame l'appartamento è stato locato ad un canone che può rientrare tra quelli di mercato. Pertanto, qualora il proprietario, come nel caso di specie, oltre al godimento dell'appartamento, non abbia fornito ulteriori prestazioni ed attività diverse da quelle che potrebbe fornire a qualsiasi inquilino, è esclusa la configurabilità del reato di favoreggiamento della prostituzione, a nulla rilevando che il locatore fosse a conoscenza di questa destinazione, e che vi sia stata una successione di conduttrici, anche per periodi non lunghi.