
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 12 aprile 2013, n. 16566 precisa ulteriormente i confini della fattispecie di induzione indebita, di cui all'art. 319-quater c.p., come introdotto dalla legge anticorruzione n. 190/2012.
Seguendo il ragionamento degli ermellini, l'induzione indebita ricorre “in quei casi in cui al privato non venga minacciato un danno ingiusto e possa, anzi, avere persino una convenienza economica dal cedere alle richieste del pubblico ufficiale laddove costui ‘induca’ al pagamento quale alternativa alla adozione di atti legittimi della amministrazione, dannosi per il privato”.
Il reato di induzione indebita è consumato con la promessa del pagamento e non con l'effettivo pagamento, con la conseguenza che il fatto che quest'ultimo avvenga sotto il controllo della polizia giudiziaria, senza alcuna possibilità per il pubblico ufficiale di arrivare a detenere in modo autonomo il denaro od altra utilità corrispostagli, non è significativo al fine di ritenere che il reato sia consumato o meno. "Il discrimine è dato, invece, dall'essere intervenuta la denunzia o, comunque, il comportamento teso ad allertare le forze dell'ordine prima o dopo la "promessa", momento di consumazione del reato".