
E’ omicidio colposo per il medico di famiglia che in prima battuta si rifiuta di andare a visitare un giovane di 18 anni e poi sbaglia la diagnosi – insufficienza respiratoria acuta con polmonite bilaterale - minimizzando le condizioni di salute del paziente, escludendo il coinvolgimento dei polmoni e effettuando una prescrizione del tutto inadeguata. La Corte territoriale con una giudizio immune da vizi e condiviso dalla Cassazione infatti non solo ha affermato: “ora non occorre essere particolarmente esperti in materia per rilevare che, nel duemila, la morte di ragazzi diciottenni, a causa di polmonite sia evenienza statisticamente irrilevante, atteso che trattasi di malattia che, se diagnosticata in tempo, guarisce nella quasi totalità”, avendo anche “congruamente effettuato il giudizio controfattuale e preso ampiamente in considerazione le diverse conclusioni sul punto del consulente medico della difesa”. La Cassazione rammenta che “l’esistenza del nesso causale richiede una condicio sine qua non, un antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe verificato, da valutare sulla base del criterio della elevata credibilità razionale o probabilità logica, conformemente all’insegnamento delle Sezioni unite”. Dunque, secondo la Corte territoriale “se l’imputato avesse operato in maniera diversa, si sarebbero evitate le conclusioni infauste”.