
La Suprema Corte apparentemente rimette in discussione l’ultimo orientamento secondo cui coltivare anche pochissime piantine costituisce comunque reato (cfr sent. Nr. 45919/12).
Infatti con la sentenza 12612/13 si propone un principio in qualche modo contraddittorio: da una parte si afferma che non bastano due piante di canapa indiana per concretizzare il reato e dall’altra si afferma che il reato sussiste nell’ipotesi di coltivazione per uso personale.
La chiave per risolvere tale contraddizione si trova in due frasi della citata sentenza: “non bastano… se non si quantificano le dosi ricavabili” e “accertare caso per caso la concreta offensività della condotta”.
Con la prima frase la Cassazione ricorda che non basta il mero possesso di una piantina di cannabis: occorre accertare e quantificare quante e se vi siano le dosi ricavabili: infatti il principio attivo contenuto nella cannabis, il THC, varia notevolmente da pianta a pianta, da una sostanziale inesistenza nella cannabis nostrana ad un tasso altissimo nella cannabis indica. Se non viene stabilito l’effettivo quantitativo di THC, quale che sia l’estensione della coltivazione, non si può confermare il reato.
Con la seconda frase gli Ermellini ricordano che la condotta, per concretizzare un reato, deve essere concretamente offensiva e cioè, nella fattispecie, occorre stabilire se le due piantine rappresentino un numero di dosi sufficienti a fare ipotizzare una detenzione anche a fine di spaccio: paradossalmente 10 piantine con contenuto di THC inferiore ad una singola dose drogante non possono ritenersi condotta offensiva, mentre una sola piantina che possa produrre 50 dosi è certamente presupposto di reato.
monica
14/09/2025 05:53:14
Sono contraria al fatto che ognuno coltivi cio' che vuole;
sono favorevole alla cannabis come medicinale per lenire sofferenze,assunta attraverso medici competenti.