Responsabilità degli enti presupposti: definizione
Si tratta di una forma di responsabilità delle persone
giuridiche derivante dalla commissione di illeciti da parte di coloro che
agiscono in nome e per conto (soggetti apicali) dell'ente, o anche semplici
dipendenti, introdotta in Italia (decreto legislativo 231 del 2001) al fine di
contrastare la criminalità di impresa.
Tale forma di responsabilità si basa su un duplice
presupposto. Il primo è che una persona legata da un rapporto funzionale con
l'ente realizzi uno dei reati espressamente previsti dalla legge (ad esempio:
reati contro la pubblica amministrazione, reati societari, reati di abuso di
informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, omicidio colposo o
lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela
della salute e sicurezza sul lavoro ed altri); il secondo è che esista un
collegamento obiettivo tra l'illecito commesso e l'ente, consistente nella
finalizzazione del reato stesso al vantaggio o all'interesse della persona
giuridica.
Tuttavia, la responsabilità dell'ente non scatta "automaticamente", ma solo se risulta
che quest'ultimo non abbia adottato dei modelli di organizzazione, gestione e
controllo idonei a prevenire i reati.
In questi termini, allorché venga commesso uno dei reati
previsti da parte di persone inserite, a
vario titolo, nella struttura dell'ente e nell'interesse di questo, sorge un
duplice profilo di responsabilità: oltre alle conseguenze penali per l'autore
materiale dell'illecito, è configurata una responsabilità dello stesso ente,
che viene colpito con sanzioni amministrative, le quali possono avere serie
ripercussioni sullo svolgimento della sua attività.
Infatti, ad una sanzione di tipo pecuniario, la cui
determinazione spetta al giudice in relazione a vari criteri stabiliti dalla
legge, possono aggiungersi sanzioni di tipo interdittivo (consistenti, ad
esempio, nell'interdizione dall'esercizio di attività, nel divieto di contrattare con la Pubblica
Amministrazione, nella sospensione o nella revoca di autorizzazione e licenze,
nell'esclusione o nella revoca di finanziamenti e contributi eccetera), nonché
la confisca e la pubblicazione della sentenza.
I soggetti di tale disciplina sono determinati dalla legge
in maniera molto ampia.
I destinatari, infatti, sono individuati negli enti forniti
di personalità giuridica, nelle società e nelle associazioni anche prive di
personalità giuridica. Vengono invece esclusi lo Stato, gli enti pubblici
territoriali, gli altri enti pubblici economici nonché gli enti che svolgono
funzioni di rilievo costituzionale.
Per quanto riguarda l'attribuzione della responsabilità alla
persona giuridica, innanzitutto il reato commesso dalla persona legata all'ente
deve essere stato compiuto nell'interesse o a vantaggio dell'ente stesso. Per
contro, esula tale responsabilità nel caso in cui la persona fisica abbia agito
nell'esclusivo interesse proprio o di terzi. Il richiamo all'interesse fa si
che sia sufficiente che il fatto di reato sia stato commesso per favorire
l'ente, indipendentemente dalla circostanza che poi tale risultato venga in
concreto conseguito. Il vantaggio, invece, riguarda il risultato che l'ente ha
obiettivamente tratto dalla commissione dell'illecito, a prescindere dal fatto
che ciò fosse la soggettiva intenzione di chi l'ha commesso.
Inoltre, gli agenti devono essere soggetti qualificati, nel
senso che deve trattarsi di persone fisiche legate all'ente. Queste si dividono
in due categorie: soggetti in posizione apicale e soggetti sottoposti
all'altrui direzione.
Per quanto riguarda la prima categoria, si tratta di persone
che all'interno dell'ente rivestono funzioni di rappresentanza, di direzione o
di amministrazione, come ad esempio amministratori, direttori generali eccetera.
Alla seconda categoria appartengono invece soggetti
sottoposti alla direzione e alla vigilanza di uno dei soggetti posti in
posizione apicale e di regola sono i prestatori di lavoro subordinato.
I criteri per poter affermare sussistente la responsabilità
dell'ente variano sensibilmente a seconda che il reato sia stato commesso da un
soggetto apicale o da un subalterno.
Come detto, non si tratta di una responsabilità "automatica", ma è necessario che il reato sia "rimproverabile" all'ente, nel
senso che deve costituire espressione di una politica aziendale o, perlomeno,
di un deficit di organizzazione.
La legge, infatti, esclude la responsabilità dell'ente nel
caso in cui questo, prima della commissione del reato, abbia adottato ed
efficacemente attuato un modello di organizzazione idoneo a prevenire la
commissione di reati della specie di quello che è stato commesso. Tali modelli,
ad esempio, devono prevedere le procedure circa la formazione e l'attuazione
delle decisioni dell'organo che gestisce l'ente (consiglio d'amministrazione,
comitato esecutivo eccetera), le modalità di gestione della risorse
patrimoniali e finanziarie della società, i rapporti tra i soggetti coinvolti
nel funzionamento e nel rispetto del piano di organizzazione stesso eccetera.
L'adozione del modello di organizzazione, tuttavia, non
costituisce un obbligo per le imprese, ma è una decisione lasciata alla libera
discrezionalità dell'ente.
Il compito di accertare la responsabilità dell'ente spetta
al giudice penale, di regola nell'ambito dello stesso procedimento nel quale
viene accertata la sussistenza o meno del reato presupposto compiuto dalla
persona fisica legata all'ente.
Come tutte le volte che si ha anche solo il sospetto di
essere indagati o di avere subito un reato, è consigliabile contattare un avvocato
penalista al fine di ricevere chiarimenti sul caso concreto e compiere gli
eventuali "passi" che, insieme al legale, venissero giudicati necessari o anche
solo opportuni.