
L’articolo 33 della legge 104 del 1992 riconosce 3 giorni di permesso mensile retribuito al dipendente pubblico e privato che necessita di assistere in modo continuato ed esclusivo una persona fino al 2° grado di parentela – oppure entro il 3° grado se i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 65 anni o siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti.
Nel 2010, la legge 104 ha subito un’importante modifica: la cancellazione dei requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza. Fino al 2010, il lavoratore che fruiva della legge 104 per assistere un parente con handicap grave era tenuto a dedicarsi all’assistenza per tutte le ore riconosciute dai permessi richiesti. Grazie alla modifica introdotta nel 2010, il dipendente pubblico o privato può usare i permessi riconosciuti dalla legge 104 senza l’obbligo di assistere continuamente il parente malato e dedicando parte del tempo a se stesso e alle relazioni sociali.
Chiarito ciò, è bene sottolineare che aver tolto l’obbligo di assistenza continua ed esclusiva non equivale a favorire l’uso dei permessi come ferie. Chiedere permessi per la legge 104 e poi sfruttarli per andare in vacanza è un abuso che costituisce reato di truffa ai danni dello Stato, poiché la retribuzione delle giornate di permesso è sostenuta dall’Inps, e comporta il licenziamento per giusta causa, senza preavviso da parte del datore di lavoro.
La nuova interpretazione della Cassazione alla legge 104 vuole assicurare al lavoratore un equilibrio tra l’obbligo di assistenza al famigliare in grave condizioni di salute e il diritto del dipendente al riposo personale. Chi chiede, ottiene e fruisce dei permessi può dunque organizzare il proprio tempo come meglio crede, anche in modo discontinuo e flessibile.