L'Italia non ha recepito correttamente la direttiva Ue del 2002 sul rendimento energetico nell'edilizia: lo ha stabilito ieri la Corte di giustizia europea, con la sentenza relativa alla causa C-345/12 che ha visto contro Commissione Ue e Italia. La direttiva (2002/91/CE di parlamento europeo e consiglio, del 16 dicembre 2002) stabilisce tra le altre cose che gli stati membri provvedano a che, in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l'attestato di certificazione energetica (Ace) sia messo a disposizione del proprietario. O che questi lo metta a disposizione del futuro acquirente o locatario. Gli stati dovevano conformarsi alla direttiva entro il 4 gennaio 2006. L'Italia ha recepito questi obblighi da poco, col decreto legge 63/2013, che ha sostituito l'Ace con l'attestato di prestazione energetica (Ape). Ma i rilievi della Corte affondano nel tempo. E dell'ultimo decreto i giudici Ue non hanno tenuto conto. Nel 2005 e 2009, invece, il governo italiano aveva adottato due decreti di recepimento considerati non completi dall'esecutivo Ue; con la sentenza di ieri, la Corte si è detta d'accordo con questa interpretazione. In particolare, la Corte aveva contestato la deroga all'obbligo di consegnare l'attestato di rendimento energetico, in caso di locazione di un immobile privo dello stesso al momento della firma del contratto. E aveva contestato il sistema di autodichiarazione del proprietario per edifici a rendimento energetico basso, perchè in contrasto con la direttiva (art. 7, paragrafi 1 e 2 e articolo 10) che non prevede deroghe. In merito alla sentenza, il presidente di Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani, ha dichiarato: «Si riferisce a una situazione pregressa, già sanata dall'Italia prima del deposito della decisione (testo è scaricabile dal sito www.confedilizia.eu). In ogni caso, la sentenza Ue rafforza la necessità che l'applicazione del decreto legge approvato dal governo, su imposizione dell'Ue, per fermare ogni procedimento di infrazione, venga convertito nei contenuti (a confermare lo scopo per cui è stato assunto), ma rimandato nell'applicazione al 31/12/2015. Possibilità prevista dalla stessa direttiva (art. 28, terzo comma direttiva 2010/31/Ue) a cui l'Italia ha dato piena attuazione».