Braccianti agricoli, addetti alle vendite (in negozio, o da ambulanti) e, soprattutto, coinvolti nel servizio ai clienti nei bar o al ristorante: ecco i principali mestieri dei circa 260 mila ragazzi con meno di 16 anni che, in Italia, sono già entrati nel mercato del lavoro. E, se in prevalenza si tratta di attività svolte in aziende familiari e in maniera occasionale (40%), per almeno 30 mila adolescenti esiste un concreto rischio di sfruttamento, poiché si addossano incarichi pericolosi «per la loro salute, sicurezza o integrità morale». A puntare i fari sulla schiera di giovanissimi occupati è un'indagine dell'associazione Bruno Trentin Isf-Ires e Save the children, i cui risultati sono stati resi noti ieri, a Roma: l'ultima mappatura risale al 2002, pertanto la ricerca (2 mila interviste a minori iscritti al biennio della scuola secondaria superiore in 15 province e in 75 scuole) rivela come un ragazzo su quattro sia utilizzato per periodi fino a un anno e c'è chi supera le cinque ore di lavoro quotidiano (24%). Impegni che, però, sono scarsamente redditizi, di fatto non insegnano nulla e non possono, quindi, esser messi a capitale per costruire su tali esperienze una futura professione; meno della metà dei minori tra i 14 e 15 anni dichiara di ricevere un compenso (45%), di questi soltanto uno su quattro esercita il mestiere all'esterno della cerchia dei propri parenti.
Non ci sono, poi, differenze di genere, visto che il 46% di coloro che si assumono oneri è di sesso femminile; il 41% è attivo nelle mini o micro imprese di famiglia, uno su tre si dedica ai lavori domestici continuativi per più ore al giorno, anche in conflitto con i tempi scolastici, a più di uno su dieci sono affidate mansioni in aziende condotte da parenti o amici, ma c'è anche un 14% di minori «indipendente», che presta cioè la propria opera a persone estranee al proprio nucleo. «Una seria regolamentazione eviterebbe il diffondersi del fenomeno», commenta il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, la cui sollecitazione a effettuare un monitoraggio costante sugli under16 «arruolati» viene accolta dal ministro del welfare Enrico Giovannini, che denuncia come dietro la statistica vi sia «una povertà assoluta. Non solo finanziaria, ma culturale».
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