L'Imu va modificata. E in particolare è necessario escludere dall'imposizione tutti gli immobili strumentali all'attività d'impresa, in quanto si tratta di beni che non rappresentano una forma di accumulo di patrimonio, o quantomeno di attenuare, nell'immediato, l'impatto dell'imposta su tali immobili, dimezzando l'aliquota o prevedendo la deducibilità dal reddito d'impresa determinato ai fini delle imposte sui redditi (Irpef/Ires) e dell'Irap. È la richiesta di Rete imprese Italia che, in occasione dell'audizione presso la commissione finanze del senato in materia di tassazione degli immobili, ha ribadito i gravi effetti negativi dell'Imu sul patrimonio immobiliare evidenziando il suo particolare aggravio impositivo sui settori dei servizi e della produzione che non hanno beneficiato, in alcun modo, di qualche attenuazione dell'imposta, né in fase di determinazione della base imponibile da parte dello stato né in fase di determinazione delle aliquote da parte dei comuni. In questa fase, si legge in una nota della confederazione delle pmi che riunisce Cna, Casartigiani, Confcommercio e Confesercenti, «con una pressione fiscale già a livelli record, continuare a gravare in maniera così consistente le imprese, soprattutto quelle del terziario di mercato e dell'artigianato, non solo si penalizzano le loro potenzialità di crescita, ma si mette a rischio la loro stessa sopravvivenza». Per Rete Imprese Italia, quindi, l'Imu dovrebbe essere inquadrata e modulata quale imposta sui servizi locali (la cosiddetta «service tax») e non come mera imposta sul patrimonio, rappresentando così un costo inerente all'attività economica svolta. Inoltre, non si può prescindere dalla riforma del catasto, riprendendo i principi contenuti nel disegno di legge delega di riforma fiscale, senza ulteriori aggravi sulla tassazione immobiliare.