
È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 10903 del 7 marzo 2013, ha accolto con rinvio il ricorso di una Spa finita nel mirino degli inquirenti nell'ambito di un'inchiesta per corruzione.
Insomma, in caso di misure cautelari a carico di enti sospettati di responsabilità amministrativa ai sensi della «231», la motivazione per relationem dell'atto è soggetta a paletti stringenti.
«Pienamente fondata», hanno spiegato i Supremi giudici, «appare la doglianza presentata dalla difesa della società relativa al radicale difetto di motivazione dell'ordinanza cautelare, rimasto non sanato in appello, in ordine alle contestazioni sollevate a proposito della sussistenza dei gravi indizi dei fatti di reato costituenti il presupposto del contestato illecito amministrativo». In udienza, spiega il Collegio, la difesa richiamò e allegò, a contestazione del fumus dei reati, quanto articolato nella richiesta di riesame avverso la misura cautelare personale.
Ora, considerato che l'articolo 45 della «231» richiama espressamente l'art. 292 c.p.p., il quale a sua volta prevede, a pena di nullità, che l'ordinanza cautelare contenga, fra l'altro, l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, e che il modello procedimentale cui s'ispira l'art. 47 del dlgs n. 231 del 2001 è quello a contraddittorio anticipato, è evidente che, a fronte della suddetta contestazione del quadro indiziario delineato nell'ordinanza cautelare personale, il mero rinvio al contenuto di questa, fatto dal Gip e lasciato invariato dal Tribunale, non poteva più assolvere all'onere motivazionale richiesto nel nostro sistema.
Ora gli atti torneranno al Tribunale di Pistoia che dovrà riconsiderare l'ordinanza con la quale qualche mese fa ha impedito alla società di contrattare con l'amministrazione.