
Il nuovo redditometro con decreto del 24 dicembre del 2012 è finalizzato, nella sostanza, a individuare la corretta capacità contributiva sulla base di tre elementi essenziali: le spese di qualunque genere sostenute dai contribuenti, per le quali il primo riferimento è il dato disponibile in anagrafe tributaria; la quota di risparmio accumulata nell'anno; il delta tra investimenti e disinvestimenti; una quota residuale delle spese legata alle medie Istat. Scorrendo il contenuto dell'ordinanza, è proprio quest'ultimo aspetto che il giudice campano utilizza per demolire il decreto.
Nella sostanza si afferma un principio: il nuovo redditometro viola la privacy e la libertà individuale dei contribuenti in quanto si rivela uno strumento invasivo di indagine sulle abitudini quotidiane. Sul punto sempre l'Agenzia delle entrate ha precisato nuovamente che: in questo caso saranno utilizzate solo nel contraddittorio e non rilevano per gli scostamenti, tanto che non vanno conservati gli scontrini. E proprio alcuni passaggi della pronuncia lasciano da un punto di vista tecnico estremamente perplessi. Confrontando questo tipo di affermazione con quanto emerge dalla lettura del decreto appare semplice come il provvedimento attuativo del nuovo redditometro non richieda affatto un adempimento di questo tipo. Se infatti, come detto, il punto centrale della ordinanza è legato all'individuazione di una presunta distorsione per l'utilizzo della media Istat questo non appare dal provvedimento normativo. Ciò in quanto, ai fini dell'accertamento, le spese Istat rappresentano l'ultimo e del tutto residuale elemento di riferimento. Nel testo della pronuncia si leggono, poi, delle affermazioni che risultano apparire paradossali. In particolare, in un passaggio, il giudice afferma, in modo tranciante, come non risulti corretto conoscere la «quantità e qualità» dei farmaci acquistati per un congiunto malato. Sul punto, va ricordato, come la prima indicazione in merito alle spese mediche sostenute dai contribuenti è data dai contribuenti stessi nella dichiarazione dei redditi. In questa ottica il redditometro utilizza, in prima battuta, un dato già conosciuto e fornito, appunto, dallo stesso contribuente. Seguendo il ragionamento dell'ordinanza potrebbero scaturire delle conseguenze che appaiono paradossali. Se il principio è infatti quello della violazione della privacy diventerebbe difficilmente comprensibile come l'amministrazione finanziaria possa richiedere documentazione ai sensi dell'articolo 36-ter del dpr 600/73. Portando a ulteriori estremi il ragionamento svolto dal giudice c'è da chiedersi come si conciliano le indicazioni contenute nella pronuncia con quanto previsto, per esempio, in materia di anagrafe dei conti correnti. Nel testo dell'ordinanza viene poi, neanche tanto velatamente, ventilata l'ipotesi che il nuovo redditometro vada a privilegiare coloro che schermano le proprie ricchezze all'interno di «enti fittizi» penalizzando dunque le situazioni più diffuse. Probabilmente siamo di fronte a una estremizzazione delle polemiche che in questo periodo hanno accompagnato il varo del nuovo redditometro. Se è corretto richiedere l'applicazione ragionata del nuovo strumento, prima di tutto come elemento di selezione, cosa diversa è valutarlo in termini di violazioni delle libertà costituzionali.
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