In molti ordinamenti stranieri, specialmente anglosassoni, è data facoltà ai coniugi di regolamentare l’assetto dei rapporti patrimoniali in caso di fallimento dell’unione coniugale, come ad esempio stabilire l’ammontare dell’assegno di divorzio e del contributo al mantenimento dei figli, oppure stabilire a chi sarà assegnata la casa coniugale.
In Italia invece i patti prematrimoniali sono nulli perché contrari all’ordine pubblico. Nel nostro ordinamento infatti, non è possibile disporre preventivamente dei diritti patrimoniali conseguenti alla scioglimento del matrimonio, perché un accordo siffatto finirebbe per limitare il diritto di difesa nell’eventuale giudizio di divorzio, sia in relazione agli aspetti economici sia, e prima ancora, alla stessa dichiarazione di divorzio. Un accordo di questo tipo avrebbe infatti una causa illecita in quanto condizionerebbe il comportamento delle parti nel giudizio concernente uno status, in un ambito, cioè, in cui la facoltà di scelta ed il diritto di difesa devono invece essere massimamente garantiti.
Ma l’ostacolo non è insormontabile. Recentemente la Corte di Cassazione ha stabilito il principio che non sono contrari all’ordine pubblico internazionale, e cioè ai principi fondamentali dell’ordinamento, gli accordi prematrimoniali omologati in uno stato estero.E ciò in quantoin base all’art. 30 della L. 215/95 due coniugi italiani residenti all’estero possono liberamente scegliere un ordinamento straniero per regolare i loro rapporti patrimoniali; rapporti patrimoniali che in questo caso saranno ritenuti validi ed efficaci anche in Italia.
Tuttavia, di recente, la Suprema Corte è sembrata aprirsi alla possibilità di accordi prematrimoniali anche in Italia, ammettendo la validità di un ’accordo con il quale i coniugi stabilivano in anticipo, in caso di cessazione del matrimonio, il trasferimento all’altro dell’immobile di sua proprietà a titolo di rimborso delle spese sostenute dal coniuge beneficiario di tale trasferimento, per la ristrutturazione di altro immobile adibito a casa coniugale. Tale tipo di accordo è stato ritenuto valido perché la separazione o il divorzio non erano la “causa” che aveva dato luogo all’accordo medesimo, ma avevano assunto la rilevanza di semplici eventi temporali idonei a rendere efficace l’accordo.