I compensi per l'attività di amministratore deliberati prima della procedura fallimentare violano le legittime attese degli altri creditori. La partecipazione a una delibera in proprio favore, diretta a soddisfare il credito vantato verso l'impresa da lei amministrata, viola però le legittime aspettative degli altri creditori. Questa delibera, quindi, pur caratterizzata da legittimità formale, sul piano del rapporto civilistico tra impresa e amministratori, presenta una rilevanza penale, a fronte della doverosa tutela della par condicio creditorum, la quale impone all'amministratore, nella presente fattispecie, il percorso dell'insinuarsi nel passivo, riservando agli organi fallimentari la valutazione sulla sussistenza del credito e sul quantum della sua soddisfazione. Questo è quanto affermano i giudici di cassazione con la sentenza del 25 marzo 2013 n. 14029. Gli ermellini nella sentenza in commento azzerano la pronunzia di assoluzione emessa, in sede di giudizio abbreviato, nei confronti di una donna che, nella doppia veste di socia e di amministratrice, è stata accusata sia di «bancarotta preferenziale» che di «bancarotta per distrazione». Punto centrale dell'esame dei giudici di Cassazione è quello relativo alla contestata delibera sociale con cui era stato deciso il «pagamento» dei «compensi per l'attività di amministratore», riferiti, peraltro, a un esercizio sociale «concluso con una perdita tale da azzerare il capitale sociale». I giudici sostengono che quanto al reato di bancarotta preferenziale, risulta che, in stato di insolvenza della società, la socia ha partecipato ad una delibera assembleare concerne la spettanza dei suoi compensi di amministratrice. Questa delibera, quindi, pur caratterizzata da legittimità formale, sul piano del rapporto civilistico tra impresa e amministratori, presenta una rilevanza penale, a fronte della doverosa tutela della par condicio credito rum.