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Nuova stangata per le imprese con il ticket licenziamento

del 09/04/2013
di: La Redazione
Nuova stangata per le imprese con il ticket licenziamento
Il ticket licenziamento viene trasformato dall'Inps in un'ulteriore forma di tassa per le imprese italiane.

Sono, infatti, quasi 225 milioni di euro per l'anno 2013 e poco meno per ciascuno degli anni successivi, le somme che l'Istituto di previdenza italiano sottrae loro per effetto di una interpretazione a dir poco forzata sul ticket licenziamento varata con la circolare 44-2013.

Con una indagine della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, che tiene conto dei dati storici gestiti dai consulenti del lavoro negli ultimi cinque anni, si fa luce su questo nuovo balzello inventato intervenendo sui criteri interpretativi del contributo introdotto dalla legge n. 92/2012 (legge Fornero).

Dai dati in possesso dei Consulenti del lavoro i lavoratori che purtroppo nel corso del 2013 si stima possano perdere il posto di lavoro sono 643 mila.

Le motivazioni che sono alla base della interruzione riguardano:

- il 57,85% (pari a 372 mila unità) a seguito di provvedimento di licenziamento per esaurimento degli ammortizzatori sociali già avviati negli anni scorsi;

- il 18,35%% (pari a 118 mila unità) a seguito di nuovi provvedimenti di licenziamento diretti;

- il 23,79% (pari a 153 mila unità) a seguito di risoluzioni consensuali e altre ipotesi che consentono il riconoscimento di ASPI

La Fondazione Studi ha distinto i lavoratori per tipologia di recesso e per data di instaurazione del rapporto ed è emerso che su base statistica parte dei lavoratori per i quali sarà dovuto il contributo di licenziamento (ossia, 372 mila su 643 mila) hanno una anzianità media aziendale pari a 32 mesi.

Invece, per 118 mila unità l'anzianità aziendale media è pari a 21 mesi, mentre il residuo campione ha un'anzianità aziendale pari a dieci mesi.

Per questi lavoratori, per effetto di una interpretazione infondata sul piano giuridico da parte dell'Inps, le aziende saranno tenute a versare un contributo per il licenziamento pari a quasi 225 milioni di euro l'anno in più rispetto a quanto stabilito chiaramente dalla legge.

Quindi, da un lato viene varato un decreto che consentirà di incassare i crediti vantati dall'imprese che attendono da anni pagamenti per servizi prestati, e dall'altro lato si tolgono risorse alle stesse imprese recuperandole nella forma di tassa occulta in violazione alla legge.

Metodo di calcolo dell'anzianità aziendale

L'articolo 2, comma 31, della legge 92/2012, così come modificato dall'articolo unico, comma 250, lettera f), della Legge 228/2012, nel passaggio in cui evidenzia come «è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41% del massimale mensile di ASPI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni».

Lascia sicuramente perplessi l'interpretazione proposta dall'istituto secondo cui «per i rapporto di lavoro inferiori ai 12 mesi, il contributo va rideterminato in proporzione al numero di mesi di durata del rapporto di lavoro». L'istituto prosegue, poi, nella propria interpretazione, evidenziando come, ai fini del calcolo, si considerano mesi interi quelli per i quali la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario.

Tale lettura, da cui scaturisce un calcolo pro rata dell'anzianità aziendale, non trova nessun riscontro nel dettato normativo.

Facciamo un esempio. Per 372 mila lavoratori che perderanno il lavoro nel corso del 2013 che hanno un'anzianità aziendale di 32 mesi, le aziende anziché versare un contributo di 967,68 euro (anzianità pari a 24 mesi ossia multipli di 12 mesi di anzianità aziendale), l'Inps richiede in modo ingiustificato un contributo di 1.290,24 euro. Lo stesso criterio vale anche per le altre categorie. Se la differenza si moltiplica per la totalità dei lavoratori il risultato che si ottiene è quello sopra evidenziato.

Non bisogna dimenticare che, in materia di interpretazione normativa, in base all'articolo 12 delle preleggi, «nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore».

Nel caso oggetto di analisi il legislatore ha voluto collegare il contributo alla locuzione «per ogni 12 mesi di anzianità aziendale» riconoscendo a tale indici carattere di discrimine per il calcolo. Nel caso di mancato raggiungimento dell'unità base per il calcolo – 12 mesi di anzianità – non è dovuto dall'azienda alcun contributo. L'interpretazione letterale porterebbe quindi, in caso di anzianità aziendale inferiore ai 12 mesi all'esclusione del contributo e nei casi di anzianità compresa tra 12 e 24 o tra 24 e 36 mesi all'arrotondamento all'unità inferiore, nello specifico ai 12 o 24 mesi.

L'interpretazione proposta dall'istituto, discostandosi molto dal tenore letterale della normativa, porta a un forte inasprimento applicativo del contributo in analisi, a totale carico dei datori di lavoro. A tal proposito merita evidenziare come, se l'istituto con propria circolare n. 25/2013 ha escluso l'applicabilità del contributo in analisi per i rapporti domestici «attese le peculiarità di quest'ultimo» al solo fine di mantenere una c.d. pace sociale, non ha applicato lo stesso metodo interpretativo nel caso in analisi, nel quale ha preferito privilegiare un forte ampliamento della platea di soggetti interessati al versamento del contributo, col solo intento di aumentare le proprie entrate.

Soggetti con contratto di lavoro part-time

Un ultimo punto è relativo alla scelta operata dal legislatore, all'art. 2, comma 31, della legge 92/2012 relativamente al totale scollegamento del contributo dalla reale percezione dell'indennità Aspi da parte del lavoratore. Nello stesso filone interpretativo, la circolare n. 44 ribadisce che «il contributo è scollegato all'importo della prestazione individuale; conseguentemente, lo stesso è dovuto nella misura indicata, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full-time o part-time)».

Quindi, secondo l'Inps, non c'è differenza di importo tra un operaio che lavora part-time 2 ore la settimana sia per un dirigente che lavora 40 ore la settimana.

O meglio, laddove l'Inps deve riconoscere l'indennità di disoccupazione ASPI, allora prevede che essa sia proporzionata alla retribuzione percepita (per i part-time); al contrario, sempre l'Inps quando deve interpretare il versamento contributivo, chiede alle imprese un importo intero indipendentemente dalla durata della prestazione (sempre per lo stesso part-time).

E ciò anche se l'Inps nella stessa circolare 44 tiene a precisare che «a legge, infatti, introduce un nesso tra il contributo e il teorico diritto all'ASPI da parte del lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato interrotto».

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