Il Comune non può porre alcun vincolo alle imprese che hanno aperto un phone center, perché ciò sarebbe in contrasto con il dl 223/2006 che, in una prospettiva di liberalizzazione degli accessi al mercato, esclude l'applicazione di limitazioni all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare. Lo ha chiarito l'Autorità per la concorrenza ed il mercato con la decisione adottata il 31 gennaio scorso e pubblicata sul bollettino 7/2013. L'interpretazione del garante è stata sollecitata in riferimento al regolamento comunale approvato dal Comune di Arezzo nel marzo del 2012, il quale ha stabilito il divieto di svolgere contestualmente all'attività di phone center anche quella di money transfer. L'Antitrust, relativamente alle questioni poste, ha precisato che l'attività di phone center è soggetta alla disciplina speciale contenuta nel decreto legislativo n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), il quale, oltre a stabilire il principio generale secondo cui «[l]a fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, che è di preminente interesse generale, è libera», prevede che siano ammesse limitazioni nei soli casi di «difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell'ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione» (art. 3, commi 2 e 3). E, per quanto riguarda il divieto di svolgere attività di money transfer, l'Autorità, a proposito della legge approvata dalla regione Veneto, aveva già osservato che «[i]l divieto di svolgimento, nei centri di telefonia in sede fissa, di servizi diversi dalla cessione al pubblico di servizi telefonici e dell'attività commerciale accessoria rappresenta una ingiustificata limitazione quantitativa e qualitativa dell'offerta in contrasto con le esigenze di salvaguardia della concorrenza».
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