Pubblicazioni e spettacoli osceni: definizione
Il reato di pubblicazioni e spettacoli osceni, previsto dall’articolo 528 del Codice Penale, riguarda chiunque introduca nel territorio dello Stato, fabbrichi, metta in circolazione, sporti, detenga o acquisti immagini, disegni, scritti o altri oggetti osceni di qualunque tipo con lo scopo di esporli in pubblico, di distribuirli o di farne commercio. Per tale delitto è stabilita una sanzione amministrativa che va da un minimo di 10mila a un massimo di 50mila euro; la stessa sanzione deve essere applicata anche per chi mette in commercio oggetti osceni in modo clandestino. Una multa di non meno di 103 euro e la reclusione da un minimo di tre mesi a un massimo di tre anni devono essere comminate a chi sia protagonista di recitazioni o audizioni pubbliche o di spettacoli cinematografici o teatrali con carattere di oscenità, così come a chi favorisca il commercio o la circolazione di oggetti osceni con qualunque mezzo di pubblicità. Il reato di pubblicazioni e spettacoli osceni è stato depenalizzato dal d.lgs. n. 8 del 15 gennaio del 2016.
Che cosa si intende con “osceno”?
Un oggetto viene considerato osceno nel momento in cui è in grado di provocare una sensazione di oscenità, e cioè ferisce, turba o vìola il comune senso del riserbo rispetto a manifestazioni e fatti che hanno a che fare con la sfera sessuale. Devono essere esclusi dalla punibilità gli addetti alla rivendita di riviste e giornali e i titolari di edicole: essi, infatti, non possono essere imputati per il semplice fatto di esporre, rivendere o detenere pubblicazioni provenienti da distributori ed editori che hanno ricevuto autorizzazioni ad hoc nel rispetto delle norme in vigore. Gli edicolanti, quindi, possono dedicarsi al normale esercizio delle proprie attività, a condizione che le pubblicazioni oscene non vengano vendute ai minori di sedici anni e non vengano esposte, almeno nelle loro parti che risultano palesemente oscene, in modo che siano percepibili facilmente dal pubblico.
Qual è la ratio legis?
Lo scopo della disposizione è quello di tutelare il pubblico pudore in quanto bene collettivo: esso deve essere inteso come un sentimento di riservatezza che ha a che fare con la morale sessuale.
Un avvocato penalista.