
Secondo i giudici delle leggi, infatti, l'esclusione dalla cancellazione per chi aveva già usufruito della sospensione condizionale della pena e della non menzione era giustificata dal necessità di non ripetere il beneficio. Ma, dice la Corte, l'evoluzione giurisprudenziale e normativa sulla condizionale, hanno fatto venir meno questa esigenza.
«In definitiva», si legge nel passaggio chiave che chiude la sentenza, «l'esclusione di coloro che abbiano fruito dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. dalla possibilità di ottenere la cancellazione dal casellario giudiziale delle iscrizioni relative a condanne alla pena dell'ammenda, decorsi dieci anni dall'estinzione della pena medesima, nel corso dei quali il condannato non abbia compiuto altri reati, deve ritenersi costituzionalmente illegittima. Tale preclusione produce un trattamento irragionevolmente differenziato fra condannati per i medesimi reati, sulla base di una cautela che, alla luce dell'evoluzione legislativa, è divenuta eccessiva e sproporzionata, non tale quindi da bilanciare lo svantaggio della perennità dell'iscrizione, non prevista invece per condannati in ipotesi giudicati in modo più severo dal giudice».
A sollevare la questione il tribunale di Gela che lamentava una violazione del principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione nella mancata previsione della cancellazione dal casellario dei dati di un imputato condannato nel 1981 a un'ammenda di 6.000 lire (circa tre euro). E questo solo perché l'uomo aveva usufruito della sospensione condizionale della pena.
I giudici di Palazzo della Consulta hanno ritenuto la censura fondata, condividendo in pieno le considerazioni fatte dal giudice siciliano.