
Il legale aveva subito impugnato l'atto e la Commissione tributaria provinciale le aveva dato ragione. Poi in secondo grado la Ctr di Milano aveva accolto il ricorso dell'ufficio sostenendo la legittima applicazione degli standard. Contro questa decisione la professionista ha fatto ricorso in Cassazione e lo ha vinto. Infatti la sezione tributaria ha affermato espressamente che «è manifestamente illogico ritenere che sia sufficiente l'apertura della partita Iva, perché siano assicurati clienti, ricavi e redditi, così come la predisposizione della propria posizione tributaria non è un indice di produzione di reddito». In altri termini, secondo la Cassazione l'attività del praticante legale non può essere «equiparata» a quella del procuratore legale. Né tantomeno può essere «ignorata l'inerzia tipica della fase iniziale dell'attività professionale legale». Questo perché, hanno motivato gli Ermellini, «la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell'art. 53 Cost, non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica».