La vicenda riguarda il rilascio, da parte dell'amministrazione doganale, di una serie di autorizzazioni all'istituzione di due magazzini doganali privati di tipo C e alla trasformazione dei pani di alluminio, soggetti al dazio del 6%, in rottami di alluminio, esenti da dazi, con la procedura di trasformazione sotto controllo doganale.
In seguito ai controlli, emergeva tuttavia che le autorizzazioni erano state rilasciate in contrasto con la normativa doganale comunitaria, per cui la commissione europea reclamava le risorse sottratte al bilancio Ue, di 46,6 miliardi di lire, dallo stato italiano, il quale eccepiva però che la mancata riscossione non era dipesa da errori o negligenze dell'amministrazione, bensì da condotte dolose e fraudolente dei funzionari, ad essa non imputabili.
La corte, nella sentenza, ha rilevato che la condotta di qualsiasi organo dello stato è, in linea di principio, imputabile allo stato stesso, anche se l'organo ponga in essere, con il suo comportamento, una violazione di legge, uno sviamento di potere o un'inosservanza di istruzioni dei propri superiori gerarchici. È pacifico, prosegue la corte, che nel momento in cui hanno rilasciato le autorizzazioni illegittime, i funzionari doganali si trovavano nell'esercizio delle loro funzioni, sicché i loro atti debbono considerarsi compiuti nell'ambito stesso dell'amministrazione, con la conseguenza che la condotta illegittima dell'amministrazione va imputata alla repubblica italiana.
Quanto all'esimente della «forza maggiore», tale nozione, secondo la giurisprudenza della Corte, deve essere intesa nel senso di circostanze estranee e non riferibili al soggetto che la invoca, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto evitarsi nonostante ogni diligenza impiegata, situazioni che non ricorrono nella fattispecie.