
L'imputato aveva parcheggiato il proprio veicolo su un posto riservato agli invalidi, esponendo sul parabrezza una fotocopia in bianco e nero di un permesso autentico rilasciato al padre deceduto (peraltro scaduto da tempo).
Il vigile urbano che aveva rilevato il fatto era stato attirato proprio «dalla singolarità dell'uso, in luogo dell'originale, di una fotocopia che palesemente si mostrava come tale». Tuttavia, sia in tribunale sia nella Corte d'appello del capoluogo marchigiano il cittadino era stato condannato. Da qui il ricorso per cassazione, deducendo che il suo comportamento non poteva tecnicamente integrare il reato di falso, in quanto il documento utilizzato non era contraffatto.
Una tesi condivisa dagli «ermellini», secondo i quali la fattispecie differisce dalle ipotesi già esaminate (tra le varie, Cass. n. 5401/2004), nelle quali la fotocopia costituiva la riproduzione, fedele anche nei colori, dell'originale; con un'evidente intenzionalità contraffattrice per far sembrare il documento come un autentico (c.d. «immutatio veri»).
Nel caso in esame, invece, la fotocopia b/n «non poteva simulare l'originale», si legge nella sentenza, «in quanto palesava chiaramente la sua natura di riproduzione fotostatica, di modo che non era possibile ritenere la sussistenza del dolo generico che caratterizza il reato».
Motivo per cui la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Restano invece al di fuori dal giudizio penale, ovviamente, le sanzioni per il divieto di sosta su posto riservato agli invalidi (multa e decurtazione punti).