
L'antieconomicità e il redditometro rappresentano le armi forti dei recenti accertamenti del fisco e di certo non può obiettarsi molto al riguardo. Giustamente la Corte di cassazione ha più volte condannato i contribuenti con atteggiamenti sin troppo irrazionali sul piano reddituale, sottolineando due aspetti i cui assunti di base sono incontrovertibili.
Sul fronte dell'economicità, è normale ritenere che l'attività sia condotta al fine di conseguire un utile remunerativo dell'investimento effettuato e pertanto continui risultati non soddisfacenti, caratterizzati ad esempio da perdite ripetute o utili esigui, indebitamento crescente, accumulo di rimanenze, interventi dei soci e remunerazioni degli stessi di poco superiori a quelle medie dei dipendenti, rappresentano un chiaro esempio di occultamento dei risultati, non potendosi riscontrare alcuna logica ragione nel mandare avanti in simili condizioni l'attività esercitata, risultando addirittura più conveniente il ricorso a forme alternative di investimento.
Sul piano del redditometro, spettando al contribuente il compito di difendersi nel merito, è lecito presupporre a fronte del possesso di determinati beni o della manifestazione di determinate capacità di incremento del patrimonio, l'esistenza di redditi sufficienti per tali manifestazioni di ricchezza. Pertanto, salvo i casi in cui (a prescindere dai parametri richiesti dal redditometro che magari possono apparire sin troppo elevati), il contribuente evidenzia nel concreto che con i propri redditi di qualsiasi provenienza legittima, oppure ricorrendo all'aiuto dei familiari, riesce a sopperire alle necessarie spese dei beni disponibili o agli incrementi patrimoniali realizzati, è evidente che il redditometro sia incontrovertibile. E la conseguenza peraltro è che in presenza di dichiarazioni assolutamente non credibili (si pensi ai soggetti, per esempio soci di una snc, che pagano un mutuo di 1.000 euro al mese, hanno due vetture e i familiari a carico e dichiarano nemmeno 15/20 mila euro di reddito lordo), si subisce l'accertamento per l'intero ammontare dei risultati calcolati dai coefficienti del Dm 10 settembre 1992.
Chi si appresta a effettuare investimenti agevolati in base alla Tremonti-ter, che peraltro ha un ambito oggettivo di applicazione di molto allargato in virtù delle considerazioni della circolare n. 44 del 2009, secondo cui l'agevolazione non è limitata ai soli beni strumentali, bensì a tutti i beni rientranti nella classificazione 28 della tabella Ateco tranne che non rappresentino beni destinati alla rivendita, dovrà necessariamente valutare le implicazioni sul piano di un futuro accertamento in funzione dei due metodi in precedenza richiamati. Sul piano pratico, infatti, la Tremonti-ter si trasformerà nella prossima dichiarazione dei redditi in un'ulteriore variazione diminutiva, pari al 50% della spesa sostenuta per l'investimento. Pertanto, in dichiarazione vi sarà una esatta individuazione dell'agevolazione fruita, con relativa possibilità di conteggiare il totale dell'investimento eseguito.
Orbene, in primo luogo il soggetto che effettua l'investimento, sia esso persona fisica o società, dovrà anzitutto tenere in debita evidenza il flusso finanziario che lo ha permesso. Se le risorse economiche provengono dallo scudo fiscale o dal ricorso al finanziamento creditizio, non sorgono problemi in ordine all'iniziale incremento, mentre se si tratta di risorse proprie è necessario valutare la consistenza delle stesse in rapporto alle capacità reddituali dichiarate nel tempo dall'imprenditore o dai soci.
L'investimento, peraltro, rappresenta un buon segnale sul piano del tentativo di rilancio dell'impresa. Si pensi alle imprese in «odore» di antieconomicità visti i risultati conseguiti negli ultimi anni. Il ricorso ai nuovi investimenti potrà essere utilizzato come elemento di giustificazione, evidenziando che proprio per tamponare gli scarsi risultati si è deciso di investire in nuovi beni per rilanciare l'attività svolta. Ciò però implica necessariamente che per il futuro, in un ragionevole lasso di tempo, vi siano risultati più consoni (fermo restando che la crisi, se veritiera, potrebbe perdurare e diventare irreversibile), altrimenti tornerebbe forte il dubbio in ordine all'antieconomicità della gestione aziendale. In sostanza, se pure a seguito di nuovi investimenti l'atteggiamento dell'imprenditore, sul piano dichiarativo, continuerà a manifestare risultati «irreali», tali per esempio da coprire a malapena il costo iniziale dell'investimento (ritorno dei finanziamenti propri o del sistema creditizio), giocoforza sarà maggiormente giustificato un accertamento fondato sull'antieconomicità.