
La decisione della Corte costituzionale sui matrimoni gay era attesa da alcuni giorni. Il 23 marzo scorso si era tenuta l'udienza di fronte alla Consulta per esaminare l'istanza sollevata dai giudici del tribunale di Venezia e della Corte d'appello di Trento, nel corso dell'esame dei casi di tre coppie, due di uomini e una di donne, che avevano chiesto di sposarsi in Comune. La Corte costituzionale aveva rinviato l'esame del ricorso a questa settimana per prendere in considerazione un gran numero di ricorsi, tra cui quello sui matrimoni gay.
Nel corso dell'udienza del 23 marzo i legali delle coppie avevano sostenuto che l'impossibilità di sposarsi per le persone dello stesso sesso è una evidente discriminazione, e che è in contraddizione con la possibilità di sposarsi accordata a chi, invece, si sottopone a una operazione chirurgica per cambiare sesso. L'avvocatura dello stato aveva ribattuto spiegando che la disciplina di questa materia compete al Parlamento, e che non si può introdurre nell'ordinamento una così grande novità attraverso una sentenza.
Negli ultimi due anni sono state una trentina le coppie omosessuali che in Italia si sono presentate al proprio Comune di residenza per ottenere la pubblicazione di matrimonio. Al diniego tutte hanno fatto ricorso al tribunale, con l'obiettivo dichiarato di spingere il giudice a chiedere una pronuncia della Corte costituzionale sulla legittimità delle norme che impediscono il matrimonio gay.
La decisione della Corte sui matrimoni tra omosessuali «è chiarissima. La nostra Costituzione sulla base degli artt. 3 e 21 considera società naturale fondata sul matrimonio soltanto quella fra uomini e donne», dichiara il sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, Carlo Giovanardi, che aggiunge: «per quanto riguarda invece forme di regolamentazione dell'unione di fatto ha demandato la materia alla discrezionalità del legislatore ordinario. Il Governo non aveva dubbi sull'esito di questi ricorsi e dell'interpretazione giusta e corretta che la Corte costituzionale ha dato all'istituto del matrimonio così come scolpito dai padri costituenti». «Dopo la sentenza della Consulta, che se n'è lavata le mani, è urgente che il legislatore si assuma la responsabilità politica di una decisione politica», dichiara Donatella Poretti, senatrice radicale eletta nel Pd. «Lo scaricabarile delle competenze», prosegue, «nei fatti ha abbandonato coppie e individui a cercare soluzioni pratiche in un fai da te che non è degno di una società civile e di un Paese che dovrebbe assicurare diritti e tutele a tutti i cittadini a prescindere dal sesso e dalle preferenze sessuali». «Il Parlamento», prosegue Poretti, «calendarizzi subito i disegni di legge in materia».