Ben trentuno pagine per motivare una decisione destinata a far discutere e che il Collegio esteso ha formalizzato in un preciso principio di diritto secondo cui «le intercettazioni dichiarate inutilizzabili a norma dell'art. 271 cod. proc. pen, così come le prove inutilizzabili a norma dell'art. 191 cod. proc. pen., perchè acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, non sono suscettibili di utilizzazione agli effetti di qualsiasi tipo di giudizio, ivi compreso quello relativo alla applicazione di misure di prevenzione».
Sulla bilancia della giustizia di Piazza Cavour ha pesato molto il principio del giusto processo che deve garantire, fra l'altro, i cittadini dall'acquisizione illegittima di prove e il fatto che è la stessa legge a prevedere la distruzione delle intercettazioni cosiddette illegali. In particolare, si legge in un altro passaggio chiave della lunga sentenza, «avendo quindi il legislatore stabilito, accanto alla inutilizzabilità dei risultati, la distruzione delle intercettazioni nei casi previsti dal richiamato art. 271 cod. proc. pen., se ne deve dedurre — secondo la più plastica delle evidenze — che nelle ipotesi normativamente indicate, la volontà perseguita dalla legge è stata quella di escludere, non soltanto sul piano giuridico, ma financo su quello della materialità degli atti, qualsiasi possibilità di legittima fruizione di quelle acquisizioni: dunque, non soltanto ai fini del processo, nel cui ambito le intercettazioni sono state effettuate, ma in qualsiasi altro procedimento, penale, civile, amministrativo o disciplinare che sia, posto che un diverso regime non potrebbe logicamente sostenersi, se non facendo leva sulla del tutto casuale non distruzione di quegli atti e supporti».
Sul fronte del giusto processo il Massimo consesso di Piazza Cavour ha sottolineato come le garanzie devono essere estese in tutte le fasi del procedimento, attingendo anche ai «dictat» d'Oltralpe. In particolare, si legge in un altro passaggio della sentenza, «la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, da un lato, e quella costituzionale, dall'altro, impongono, dunque, una lettura del procedimento di prevenzione che sia in linea con i principi del giusto processo». Il che, evidentemente, «avvalora la tesi di quanti ritengono preclusa la fruibilità, anche se ai limitati fini del giudizio di prevenzione, di intercettazioni inutilizzabili a norma dell'art. 271 dei codice di rito, in quanto la inosservanza delle relative garanzie di legalità finirebbe, altrimenti, per contaminare e compromettere il giusto procedimento di prevenzione, che tale può definirsi soltanto se basato su atti legalmente acquisiti».
Sulla base di questi motivi le Sezioni unite della Suprema corte hanno annullato con rinvio delle ordinanze di custodia disposte nei confronti di alcuni presunti esponenti di un clan mafioso sulla base di intercettazioni ritenute inutilizzabili nel giudizio di cognizione perché illegali. Giudizio che per questo si era concluso con l'assoluzione.
