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Filtro più stretto ai ricorsi in Cassazione

del 03/04/2010
di: di Giuseppe Ripa
Filtro più stretto ai ricorsi in Cassazione
Più filtrati i ricorsi in Cassazione ma non è più prevista la inammissibilità dovuta alla omessa o non chiara formulazione del quesito di diritto o indicazione del fatto controverso. Tutto questo a far tempo sempre dal 4 luglio 2009 nelle ipotesi di provvedimenti impugnati pubblicati o depositati dopo tale data. Confermata la impossibilità di introdurre la testimonianza nel processo tributario. Anche se potrebbe essere in qualche modo aggirabile. Sono ulteriori considerazioni traibili dalla lettura della circolare n. 17/E del 31 marzo 2010 emanata dall'Agenzia delle Entrate sulle modifiche apportate al codice di procedura civile dalla legge n. 69 del 18 giugno 209 (si veda ItaliaOggi di ieri).

La prova testimoniale scritta. Il nuovo art. 257-bis introduce tale possibilità nel rito ordinario. Le modalità attraverso le quali essa dovrebbe svolgersi sono minuziose e non eludibili. Si tratta di una innovazione di sicuro pregio la quale, tuttavia, deve passare pur sempre al vaglio del giudice. Egli infatti, come recita l'ultimo comma del nuovo art. 257-bis c.p.c., esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti al giudice delegato. E tale residuale possibilità di «sentire» realmente in udienza il testimone, tra la altre questioni, rende non rilevante nel processo tributario tale innesto che si prefigge di sveltire il rito originario. Il comma 4 dell'art. 7 del dlgs. n. 546 de 1992, inerente al processo tributario, sul punto, è lapidario. Si dice infatti non ammettersi il giuramento e la prova testimoniale. Ora è qui inutile discutere se questa sia identificabile in quella orale o scritta in considerazione del fatto che il processo tributario è documentale e si volge in modo del tutto speculare. Per semplificare dunque, seppur è vero che la prova testimoniale scritta trova ingresso nel codice di rito, è altrettanto innegabile che essa resta fuori dal processo tributario. Per lo meno nelle forme conosciute.

Bene, ma quante volte il giudice tributario ha dovuto esaminare le dichiarazioni rilasciate da terzi a conferma di quanto asserito dai verificatori nel processo verbale di constatazione o a confutazione dello stesso? Si pensi all'avviso di accertamento o di rettifica emanato a seguito delle indagini finanziarie. Non vi è dubbio infatti, come attestato dalle numerose sentenze della Corte di legittimità, che il giudice può desumere elementi di prova anche dalle dichiarazioni confessorie rese da un terzo richiamate nel rapporto della Gdf siccome prodotto in giudizio. Esse sono indizi liberamente valutabili secondo il prudente apprezzamento del giudice. Dette dichiarazioni dunque non configurano una prova testimoniale la quale, come è stato ricordato, non è ammessa nel processo tributario. D'altronde, la prova testimoniale è solo quella resa innanzi al giudice da un terzo che racconta i fatti dei quali è venuto a conoscenza. Lo stesso discorso è da farsi per le dichiarazioni di terzi introdotte nel processo a favore del ricorrente. Ecco allora che, in buon sostanza, seppur è vero che nessun testimonianza, sia essa scritta che orale, è ammissibile nel processo tributario, altrettanto innegabile che la stessa può essere surrogata dalle dichiarazioni rese dai terzi liberamente apprezzabili ma pur sempre tenute nella debita considerazione.

Il filtro per il ricorso in Cassazione. L'art. 62 del dlgs 546/92 sul processo tributario non ha dubbi. Si dice infatti al comma 1 che, avverso la sentenza della Ctr può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c. Il comma 2 chiude ritiene applicabili le norme dettate dal rito ordinario in quanto compatibili anche al ricorso in cassazione ed al relativo procedimento. Cosicché dunque le modifiche apportate dalla legge n. 69 sul punto sono traslabili nel processo tributario che dovesse arrivare sino alla Cassazione. Innanzitutto viene abrogato l'art. 366-bis c.p.c. con la conseguenza che non è più prevista la inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla omessa o non chiara formulazione del quesito di diritto o indicazione del fatto controverso. E questo non è un male stando alle perplessità pratiche sollevate. Ma la vera novità è altra. Il filtro del quale si parlava all'inizio è rappresentato dunque dal fatto che tale ricorso deve dichiararsi come inammissibile al verificarsi di due eventi non del tutto facilmente decifrabili nella pratica processuale. Se dunque il provvedimento impugnato (esempio: sentenza della Ctr) ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa, il ricorso sarà da dichiararsi previamente inammissibile. Si tratterà di verificare se i motivi avanzati possano essere tanto forti da far cambiare opinione nonostante la presenza di una costante giurisprudenza della Cassazione nella sua funzione nomofilattica ovvero se gli stessi irrobustiscono quella già conosciuta. Non vi è dubbio come possa risultare difficile passare indenni da tale filtro preventivo di inammissibilità. Se è vero infatti che esistono sentenze di legittimità costanti risulta oltremodo difficile far ritornare la Corte sui suoi passi; specialmente se le prese di posizione sono recenti o rese a Sezioni Unite. La Cassazione sul punto è inamovibile nel dettare i principi generali del concetto ancor più è rigida nell'applicarli a singole fattispecie.

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