
La disposizione. L'articolo 1, comma 17, della legge di stabilità per il 2013 ha modificato l'art. del dpr 115/2002 (Testo unico delle spese di giustizia). La norma prevede che, quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale. Abbiamo una parte che, avendo perso in primo grado, intende proporre appello. Per farlo, deve pagare un contributo unificato per l'appello che è aumentato della metà. Se, poi, l'appello è dichiarato inammissibile, improcedibile o è totalmente respinto, l'appellante deve pagare di nuovo il contributo unificato, nell'importo aumentato. Il giudice deve, poi, dichiarare in sentenza che sussistono i presupposti per l'applicazione della multa di soccombenza, il cui obbligo di pagamento sorge, però, solo al momento del deposito della sentenza. Lo stesso meccanismo vale per i ricorsi in Cassazione, con la differenza che il contributo unificato è raddoppiato.
Pubbliche amministrazioni. La risposta della Cassazione al primo quesito è che anche gli enti pubblici sono tenuti al balzello se propongono un'impugnazione e, poi, la perdono. «La norma», spiega la Cassazione, «trova applicazione anche quando venga rigettato il gravame di una amministrazione pubblica». La tesi che, invece, vorrebbe escludere le pubbliche amministrazioni invoca l'art. 158, comma 3, del Testo unico per le spese di giustizia. La disposizione prevede il meccanismo della prenotazione a debito, cioè le somme non sono versate, ma solo recuperate dallo stato alla fine del processo. L'articolo in questione prevede che le spese prenotate a debito e anticipate dall'erario siano recuperate mediante iscrizione a ruolo dall'amministrazione, insieme alle altre spese anticipate, in caso di condanna dell'altra parte alla rifusione delle spese in proprio favore. Se ne potrebbe dedurre che il contributo unificato è dovuto solo dalla controparte soccombente condannata alle spese e non dalla amministrazione soccombente. D'altra parte, è anche possibile sostenere che pretendere il contributo unificato dall'amministrazione soccombente innescherebbe solo una partita di giro, in cui la pubblica amministrazione condanna a pagare a se stessa.
Decorrenza. La legge di stabilità ha affermato che la norma si applica ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge. Da notare che l'espressione usata è «processi iniziati» e non «giudizi instaurati»: la nuova disciplina normativa, dunque, è applicabile alle impugnazioni iniziate dal trentesimo giorno successivo (31 gennaio 2013) all'entrata in vigore della legge medesima (1° gennaio 2013) e non soltanto ai procedimenti iniziati in primo grado da tale data.
Profili di costituzionalità. A prescindere dalla decisione della Corte, va rilevato che la multa per la soccombenza rende più costoso l'accesso alla giustizia e si applica anche nei casi in cui l'impugnazione non è frutto della volontà di trascinare il processo in lungo. Per esempio, una parte propone appello e, nelle more del giudizio, la Cassazione muta orientamento su una questione fondamentale, cosicché l'appello si perde per la modifica della giurisprudenza. Oppure è possibile pensare al caso in cui c'è una legge di difficile interpretazione o, ancora, al caso paradossale in cui l'appello diventa improcedibile perché l'appellante vi rinuncia a fronte del riconoscimento del suo diritto da parte del suo avversario. Di fronte a queste situazioni incolpevoli, l'applicazione della multa di soccombenza appare sproporzionata.
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