Per calcolare questi ultimi, in mancanza di un diverso accordo fra i sindaci basato su parametri maggiormente «meritocratici» (e segnatamente sui fabbisogni standard di spesa), si è fatto riferimento alle uscite per consumi intermedi rilevate dal sistema Siope negli anni 2010-2012. In precedenza, il riferimento temporale era al solo 2011, ma è stato esteso a una base triennale per evitare di penalizzare gli enti che avessero avuto picchi anomali di uscite concentrati in tale anno. Contestualmente, è stata prevista una clausola di salvaguardia che ha ridotto al 6% la variazione dovuta al cambio della base di calcolo. Un'altra clausola di salvaguardia ha invece limitato per ciascun comune la riduzione al 250% del dato medio degli enti rientranti nella stessa classe demografica di appartenenza. Anche con questi accorgimenti, tuttavia, i risultati dei conteggi risultano assai discutibili: il problema è che i consumi intermedi includono, oltre alle spese per l'acquisto di beni di consumo, materie prime e utilizzo di beni di terzi, anche quelle per prestazioni di servizi. Ciò porta, di conseguenza, a penalizzare non solo le amministrazioni più inefficienti, ma anche quelle che raggiungono livelli più elevati di servizi a cittadini e imprese. Basta guardare ai dati dei comuni capoluogo per capire la dimensione della questione: a fronte di un taglio pro-capite medio di circa 66 euro, si passa dagli oltre 100 euro di L'Aquila e Milano ai meno di 50 di Bari, Napoli e Campobasso. Ma spulciando nelle 58 pagine dell'elenco allegato al dm, saltano fuori altre sorprese: ad esempio, a Prunetto, in provincia di Cuneo, ognuno dei 468 residenti «paga» in media poco meno di un cittadino milanese. Livelli di spesa da metropoli? Sì, ma solo per una ragione meramente contabile: a Prunetto, il comune gestisce in via diretta l'unico distributore di carburante della zona, il che fa schizzare verso l'altro il dato Siope e quindi l'importo del taglio.
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