
Ventotto anni fa l'uomo, oggi settantenne, inizia la realizzazione di un complesso residenziale di 17 edifici, composto da 4 appartamenti ciascuno, dopo avere stipulato un piano di lottizzazione approvato dal comune: però, qualche mese dopo l'apertura dei cantieri viene promulgato il decreto ministeriale che dispone per quelle zone la tutela del paesaggio, e ne conferisce la giurisdizione esclusiva all'amministrazione regionale della Puglia, che le dichiara inedificabili, in assenza di una convenzione di lottizzazione col comune approvata prima del 1990. Tre anni dopo, ci si accorge, tuttavia, che nell'autorizzazione del 1985 era compresa anche un'area attraversata da un acquedotto, perciò se ne richiede una revisione: la variante viene ritenuta un nuovo progetto, e ne deriva, perciò, un processo per lottizzazione abusiva, mentre il complesso viene sottoposto a sequestro. Nel 1998, l'imprenditore viene condannato a 9 mesi di reclusione, ma nel 2001 la Corte di appello di Bari lo assolve «perché il fatto non sussiste», poi la Cassazione annulla con rinvio la sentenza e il processo torna in secondo grado, dove si emette una sentenza di condanna; nuovamente interpellata la Suprema corte annulla con rinvio anche tale pronunciamento. Nel 2006, la Corte d'appello di Bari dichiara prescritto il reato di lottizzazione abusiva, ma non revoca la confisca. E, infine, adesso l'organismo Ue accoglie le richieste dell'imprenditore, perché la confisca in presenza di prescrizione «viola i principi di legalità e di tutela della proprietà privata». La difesa ha chiesto 500 mila euro di danni patrimoniali.
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