Le regioni devono andarci piano nel bandire concorsi riservati, indipendentemente dal fatto che riguardino soggetti appartenenti all'amministrazione o estranei ad essa. Il principio secondo cui nei ruoli della p.a. si accede con concorso deve infatti subire poche eccezioni, da «delimitare in modo rigoroso». Con sentenza 100/2010, depositata ieri, la Consulta ha dichiarato illegittima una legge regionale campana in materia di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro del disavanzo (legge 28/11/08, n.16) nella parte in cui obbligava le Asl e le aziende ospedaliere della regione a bandire concorsi riservati per i lavoratori, in servizio continuativo da almeno tre anni presso le strutture sanitarie private provvisoriamente accreditate, che avessero perso il lavoro o fossero stati posti in mobilità a seguito della revoca dell'accreditamento. Con la sentenza redatta dal giudice Alfonso Quaranta la Corte ha ribadito che «la natura comparativa e aperta della procedura è elemento essenziale del concorso pubblico, sicché procedure selettive riservate che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall'esterno, violano il carattere pubblico del concorso». E questo vale anche se la riserva integrale dei posti opera, come nel caso di specie, nei confronti di un limitato gruppo di soggetti estranei alla p.a. «giacché pure in questo caso risulta violata quella natura aperta della procedura che costituisce elemento essenziale del concorso pubblico». Con sentenza 101/2010, la Consulta ha poi bocciato alcune norme (art.58, commi 1 e 2) della legge del Friuli-Venezia Giulia5/2007 (Riforma dell'urbanistica e disciplina dell'attività edilizia) per violazione delle prerogative statali in materia di paesaggio. La Corte ha chiarito che «la disciplina statale costituisce un limite minimo di tutela non derogabile dalle regioni, ordinarie o a statuto speciale, e dalle province autonome».